Il grande giorno: la recensione del film diretto da Pascal Plisson

16 ottobre 2015
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Un documentario sulla sfida di quattro ragazzi in cerca di un futuro migliore.

Il grande giorno: la recensione del film diretto da Pascal Plisson

Nel panorama del documentario per il grande pubblico il francese Pascal Plisson si è ritagliato uno spazio importante, almeno in quanto a diffusione. Merito soprattutto del successo di Vado a scuola, che raccontava la storia di quattro bambini sparsi per il mondo alle prese con un rito quotidiano per il mondo occidentale banale, ma per loro improbo: arrivare la mattina da casa a scuola, spesso per chilometri ed a piedi. Non molto dissimile è lo spunto di partenza de Il grande giorno; i ragazzi sono sempre quattro, solo che Plisson ce li propone alle prese con un rito di passaggio cruciale per il loro futuro. Che sia un esame per inseguire per merito un’educazione di qualità che la loro classe sociale non garantirebbe, il provino per entrare nell’Accademia di boxe cubana verso il sogno di diventare campione olimpico, o l’audizione di una bambina ginnasta per entrare in una prestigiosa istituzione circense.

Come in Vado a scuola la scelta ricade su luoghi poco frequentati dal nostro sguardo occidentale, consentendo a Plisson di proseguire il suo costante viaggio in giro per il mondo alla ricerca di storie che lo appassionano. Il grande giorno conduce lo spettatore fra la Mongolia e l’Uganda, Cuba e l’India. Il regista francese, però, non è un documentarista alla ricerca della silenziosa ripresa della realtà. Non aspettatevi neanche interviste di parenti o amici, a parte gli ultimi cinque minuti. Ne Il grande giorno, ma anche nei suoi altri film, la messa in scena ha un ruolo importante, la regia si sente quasi in ogni inquadratura. Difficile, quindi, parlare propriamente di documentario, quanto piuttosto di un autore che si documenta per mesi sulle persone che lo interessano e finisce poi per costruire un copione, immaginiamo assai verosimile, da far interpretare. Quasi tutto è recitato; in questo modo si perde di spontaneità e l’immedesimazione dello spettatore ne soffre. Inoltre gli stilemi sono quelli densi di retorica pseudo pedagogica del più convenzionale cinema hollywoodiano dei buoni sentimenti.

Nessun antagonista, pochi ostacoli alla piena espressione di un percorso di crescita sociale, utile all’immedesimazione di un pubblico di ragazzi e bambini che sognano un futuro di cui siano unici artefici. Il pubblico dei genitori, insieme ai loro figli, è senz’altro ancora una volta il vero – e unico? – target di riferimento di un film come Il grande giorno. Resta la perplessità per un prodotto cinematograficamente convenzionale e non privo di malizia.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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