Una piccola impresa meridionale: la recensione del film di Rocco Papaleo
Il nuovo film del regista di Basilicata coast to coast è un animale in via di estinzione che va protetto
Per definire i toni e i modi di Una piccola impresa meridionale Riccardo Scamarcio e Rocco Papaleo si sono inventati un parola: “verosimilismo”.
Il termine, che non va confuso con verismo, indica una commistione fra il naturalismo della recitazione e delle situazioni descritte e il carattere sospeso, quasi surreale, del contesto in cui si muovono i personaggi.
Che questa scelta stilistica e contenutistica si confonda con la favola o con il realismo poetico poco importa, perché ciò che conta nell'opera seconda del regista di Basilicata coast to coast è un assoluto senso di libertà.
In altre parole, la storia dell'ex prete Costantino e della sua sgangherata famiglia che si riunisce in un faro e pian piano comincia a ristrutturarlo è sì la metafora di una generale ricostruzione interiore, ma può anche essere letta come il simbolo di un film in continuo divenire, in perenne definizione.
Come uno spettacolo di teatro-canzone, che alterna le parole in musica alla recitazione, Una piccola impresa meridionale si lascia andare a un flusso di immagini e suoni che, invece di seguire l'abusato schema dei tre atti e le consuete tecniche di ripresa, beneficia di un vitale discontinuità che lo rende un oggetto unico.
Da buon direttore d'orchestra, Papaleo guida attraverso questo tracciato di tensioni intermittenti i suoi attori, a cui affida personaggi che si definiscono ciascuno attraverso un brano: “La tua parte imperfetta” per dare voce al senso di inadeguatezza dell'Arturo di Riccardo Scamarcio, “Sole spento” per affermare con prepotenza la solarità della Magnolia di Barbora Bobulova.
Poi c'è il parlato della Valbona di Sarah Felberbaum e della Rosa Maria di Claudia Potenza, che rappresentano l'anima sentimentale del film, l'incanto del regista nella contemplazione della bellezza femminile, l'espressione di un universo fortemente matriarcale: è il mondo del Sud, di quel meridione in cui il presente viene trasmesso in differita e il senso dell'onore è tale che chi è stato tradito dalla moglie resterà per tutta la vita un cornuto.
A questa società imperscrutabile e monolitica Rocco Papaleo e il co-sceneggiatore Valter Lupo oppongono un'altra idea di famiglia, di amore e di rispetto dei valori del cristianesimo, che diventano appannaggio anche di chi ha rinunciato alla tonaca per un capriccio amoroso.
Come un animale in via di estinzione, Una piccola impresa meridionale è un film che va protetto.
Va difeso anche nelle sue scelte tecniche non sempre azzeccate, come un montaggio che slenta troppo il ritmo del racconto.
Va tutelato perché non si preoccupa di compiacere nessuno, se ne infischia delle battute a effetto e perché è la piena espressione del sentire di colui che lo ha diretto: un artista che si diverte a chiamare Jennifer un muratore, che ammette di essere passato da Gesù Cristo a Karl Marx e che non esita a inserire nella colonna sonora una canzone già cantata di fronte al pubblico dello scorso Festival di Sanremo.
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali