Una donna per la vita: la recensione della commedia di Maurizio Casagrande

19 settembre 2012
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Per il suo primo film da regista, Maurizio Casagrande punta alla pluralità e alla complessità, trovandosi a organizzare il materiale narrativo in un racconto che procede a salti nonostante la bravura degli interpreti e una svolta imprevista.

Una donna per la vita: la recensione della commedia di Maurizio Casagrande

Il sogno di ogni narratore di storie, dal romanziere al cantautore allo sceneggiatore, è la trasformazione dell'ordinario in straordinario, del particolare in universale.
Ci sono due maniere farlo.
La prima consiste nell'introduzione o di un elemento surreale o di una svolta inaspettata capace di dare improvvisamente al racconto tutto un altro significato.
La seconda, invece, prevede la verità ad ogni costo: tanto nella psicologia dei personaggi quanto nella recitazione degli attori chiamati a interpretarli.
Nel caso di Una donna per la vita, che introduce il capocomico Maurizio Casagrande al mestiere del regista di cinema, la fantasia si avvera soltanto a metà, e solamente attraverso la prima modalità. Putroppo non possiamo spiegare come, perché nel film c'è un segreto, e che il cielo ci punisca se priviamo lo spettatore del piacere di scoprirlo per primo.
Proviamo allora a capire perché, nonostante i buffi duetti fra Casagrande e l'amico Neri Marcorè e il valido apporto di caratteristi d'eccezione, risulta difficile sospendere la propria incredulità di fronte alle disavventure di un povero concierge incidentato che trova la donna perfetta.

Prima di calcare le tavole del palcoscenico, e di diventare spalla comica di
Vincenzo Salemme, Maurizio Casagrande è stato un musicista. Della sua esperienza di batterista gli è rimasto sicuramente il ritmo, che in Una donna per la vita rende briosi, rapidi e compiuti i dialoghi, sfruttando i tempi comici di interpreti collaudati. Il suo scarso interesse per il ruolo di frontman gli ha insegnato invece a lasciare spazio ai suoi compagni di set,  non rovinando con gratuiti assoli l'armonia di una scena. E se come direttore d'orchestra il nostro dimostra una certa perizia, forse perché la sua esperienza di regista teatrale lo ha illuminato sulla direzione degli attori, il vero problema è nella partitura, vale a dire nell'organizzazione simultanea degli elementi che concorrono all'opera.  In questo caso la sceneggiatura.
A tratti, Una donna per la vita è una sinfonia a cui manca un crescendo e nella quale, fino ad un inatteso turning point, l'unico movimento è quello del piccolo sketch,  godibile come unità a sé stante, ma inefficace quando si affida al meccanismo della ripetizione. La colpa è anche dei troppi tributi.

Entusiasta di rendere omaggio ai mattatori di cui è debitore o estimatore, Casagrande ha sovraffollato di camei il suo film,  trasformando ogni scena in una scenetta, interrompendo il fluire della trama principale e limitando il naturale sviluppo del personaggio certamente più divertente e sfaccettato della storia, e cioè l'ex fidanzata ingombrante e fashion victim Marina che ha permesso a Sabrina Impacciatore di rivelare tutta la sua vis comica.
Cosa potremmo consigliare allora, per il suo secondo film, a un regista a cui riconosciamo il merito di averci mostrato una Napoli solare ma mai folcloristica?
Certamente di rallentare il passo, e di semplificare, finché i tempi non saranno maturi, intrecci e situazioni. In fondo, fuori da una sala cinematografica, la realtà è già abbastanza complicata...



  • Giornalista specializzata in interviste
  • Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali
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