Un sapore di ruggine e ossa- la recensione del film di Jacques Audiard

17 maggio 2012
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Ancor più di quelli che l'hanno preceduto, il nuovo film di Audiard, liberamente basato su una serie di racconti dell'americano Craig Davidson, racconta di un'umanità messa a durissima prova dalla vita e dalle sue personali ossessioni.




Superare le barriere. Nel suo cinema, Jacques Audiard parla, con toni e modi differenti, quasi sempre di quello. Barriere fisiche, sociali, psicologiche.
Nel raccontare l'amicizia e l'amore tra Stephanie e Ali (lei giovane donna che per un incidente ha perso le gambe, lui giovane pugile spiantato con figlio di 5 anni a carico) Un sapore di ruggine e ossa fa appunto questo: prende due protagonisti prigionieri di sé stessi e li porta a superare le barriere, ad abbracciare (di nuovo o per la prima volta) la vita che attende appena oltre.

Ancor più di quelli che l'hanno preceduto, il nuovo film di Audiard - liberamente basato su una serie di racconti dell'americano Craig Davidson - racconta di un'umanità messa a durissima prova dalla vita e dalle sue personali ossessioni.
Un'umanità ferita nel corpo e (quindi) nello spirito, che trova nell'amore - per il regista, dichiaratamente, il vero protagonista - la spinta e la forza per ritrovare sé stessa.
E più i traumi o i modi sono bruschi e ruvidi, più è questo amore che travalica quello fisico per farsi quasi spirituale impone la via della delicatezza e della soavità e spinge, tramite l'ammirazione del coraggio, all’emulazione costruttiva.

Un sapore di ruggine e ossa è quindi un film tutto giocato su contrasti potenti e disturbanti, intenso nel raccontare in prima battuta i corpi e successivamente gli animi di Stephanie e di Ali. Forte di una consapevolezza formale e stilistica decisamente superiore alla media, Audiard cerca una messa in scena espressionista in maniera personale, capace di evocare con uguale efficacia gli squallori e le miserie da un lato, i riscatti e la bellezza dall’altro.

All'interno di un film tanto polarizzato, e così brutalmente (e programmaticamente) spietato nell’accumulo delle disgrazie, non tutto finisce però con l’essere centrato: e
Un sapore di ruggine e ossa finisce con l’alternare momenti molto alti con altri meno efficaci e in odore di artificialità.
Ingabbiato dalle sue stesse esigenze, da una forzata necessità melodrammatica e da uno schema narrativo per sua natura rigido e costretto, finisce con l’essere il meno libero dei film di Audiard, quello che meno si concede alla deviazione o alla sospensione (brevi o prolungate, improvvise o preparate) capace di farlo scartare e di stupire.

Di
Un sapore di ruggine e ossa rimangono allora impressioni forti e alcune emozioni intense, ma anche il senso di un’opera troppo consapevole e organizzata per essere riuscita del tutto.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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