Un sapore di ruggine e ossa- la recensione del film di Jacques Audiard
Ancor più di quelli che l'hanno preceduto, il nuovo film di Audiard, liberamente basato su una serie di racconti dell'americano Craig Davidson, racconta di un'umanità messa a durissima prova dalla vita e dalle sue personali ossessioni.
Superare le barriere. Nel suo cinema, Jacques Audiard parla, con toni e modi differenti, quasi sempre di quello. Barriere fisiche, sociali, psicologiche.
Nel raccontare l'amicizia e l'amore tra Stephanie e Ali (lei giovane donna che per un incidente ha perso le gambe, lui giovane pugile spiantato con figlio di 5 anni a carico) Un sapore di ruggine e ossa fa appunto questo: prende due protagonisti prigionieri di sé stessi e li porta a superare le barriere, ad abbracciare (di nuovo o per la prima volta) la vita che attende appena oltre.
Ancor più di quelli che l'hanno preceduto, il nuovo film di Audiard - liberamente basato su una serie di racconti dell'americano Craig Davidson - racconta di un'umanità messa a durissima prova dalla vita e dalle sue personali ossessioni.
Un'umanità ferita nel corpo e (quindi) nello spirito, che trova nell'amore - per il regista, dichiaratamente, il vero protagonista - la spinta e la forza per ritrovare sé stessa.
E più i traumi o i modi sono bruschi e ruvidi, più è questo amore che travalica quello fisico per farsi quasi spirituale impone la via della delicatezza e della soavità e spinge, tramite l'ammirazione del coraggio, all’emulazione costruttiva.
Un sapore di ruggine e ossa è quindi un film tutto giocato su contrasti potenti e disturbanti, intenso nel raccontare in prima battuta i corpi e successivamente gli animi di Stephanie e di Ali. Forte di una consapevolezza formale e stilistica decisamente superiore alla media, Audiard cerca una messa in scena espressionista in maniera personale, capace di evocare con uguale efficacia gli squallori e le miserie da un lato, i riscatti e la bellezza dall’altro.
All'interno di un film tanto polarizzato, e così brutalmente (e programmaticamente) spietato nell’accumulo delle disgrazie, non tutto finisce però con l’essere centrato: e Un sapore di ruggine e ossa finisce con l’alternare momenti molto alti con altri meno efficaci e in odore di artificialità.
Ingabbiato dalle sue stesse esigenze, da una forzata necessità melodrammatica e da uno schema narrativo per sua natura rigido e costretto, finisce con l’essere il meno libero dei film di Audiard, quello che meno si concede alla deviazione o alla sospensione (brevi o prolungate, improvvise o preparate) capace di farlo scartare e di stupire.
Di Un sapore di ruggine e ossa rimangono allora impressioni forti e alcune emozioni intense, ma anche il senso di un’opera troppo consapevole e organizzata per essere riuscita del tutto.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival