Un poliziotto da happy hour - la recensione del film

18 ottobre 2011
4 di 5

Dietro a uno dei titoli più dementi della storia della distribuzione italiana si cela uno dei film più interessanti della stagione. Andate oltre le apparenze...

Un poliziotto da happy hour - la recensione del film

Un poliziotto da happy hour - la recensione

Nessun uomo è un’isola, ha detto qualcuno.
Il poliziotto del Connemara protagonista del film, interpretato da un bravissimo, bravissimo Brendan Gleeson, se non lo è ci va vicino.
E gli piace così.
Perché la guardia del titolo (originale) del film è un poliziotto pigro, bevitore, promiscuo, smaliziato, iconoclasta. E iconoclasta, smaliziato e non ortodosso è anche il film che lo contiene. Un isola felice sempre più rara in un panorama cinematografico non sempre rincuorante.
The Guard (pemetteteci di ripudiare il demente titolo italiano) è un film assai più complesso e intelligente di quanto la sua trama sintetica possa far intuire. Perché è nelle pieghe e nei dettagli, nelle inflessioni e nelle sfumature che si fa il suo senso, grazie ad una scrittura efficacissima sia nella costruzione dei personaggi che nei dialoghi e nelle battute.
L’opera prima registica di John Michael McDonagh sembra fissare lo spettatore con lo stesso sguardo sardonico e fintamente ingenuo del suo protagonista,  lo provoca come il personaggio di Gleeson provoca chiunque gli stia attorno, sfidandolo ad andare oltre la superficie e cogliere le sue capacità tanto più profonde quanto meno ostentate.

Black comedy nel senso più puro e raro del termine, capace (quindi) di un’innegabile dolcezza dal retrogusto amaro, The Guard gioca con gli stereotipi e li utilizza come paletti tra i quali fare lo slalom con agilità e ritmo lento ma appassionante. E a proposito di ritmo, sembra quasi un Maigret irlandese, questo Boyle, corpo massiccio, grandi appetiti e indole burbera: un Maigret condito però con la sfacciata scorrettezza politica e la ruvidezza tipica di quella terra battuta dal vento e dal mare, e capace allo stesso tempo di slanci di composto ma profondo altruismo, di pudicissima empatia.
Tacito alleato dell’IRA, e insofferente all’autorità, Boyle offre la sua scontrosa maieutica al servizio dell’FBI d’oltreoceano di Don Cheadle, vagamente ottuso per via dell’accumulo di regole introiettate eppure generoso fin quasi all’incoscienza.
Insieme, tanto più quanto spesso divisi, i due poliziotti si trovano ad affrontare una gang di spacciatori come li avrebbe immaginati Guy Ritchie se fosse stato un cattedratico di Oxford o di Cambridge: senza scrupoli e inclini alla violenza, ma ironici e amanti delle citazioni colte tanto quanto dei riferimenti filosofici.

Nel quadro di un ambiente anche metaforicamente aspro e desolato, circondati da personaggi malati, inetti o corrotti, Boyle e il suo collega from across the pond s’incontrano, si dividono e si riuniscono come un Cavaliere Solitario e il suo Tonto per un finale che ha il carico epico e dolente del western.
Perché nonostante le tante risate ciniche e disincantate che The Guard regala, è a quell’eroismo solitario che Boyle è destinato, in un mondo nel quale l’unico trionfo possibile è quello dell’understatement e della fuga.
Perché, di chi arriva quarto, nessuno si ricorderà mai: e, in fondo, va bene così.

Un poliziotto da Happy Hour
trailer italiano del film in esclusiva


  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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