Un giorno speciale - la recensione del film di Francesca Comencini
Un po' storia d'amore, un po' facile denuncia del baratro morale del nostro paese, il film della Comencini lascia interdetti per sguardo e messaggio
La più socialmente engagée delle sorelle Comencini, Francesca, mirava alla realizzazione di un film piccolo, veloce e fresco.
Attraverso il racconto dell’incontro casuale ma progressivamente intenso tra due giovani, pieni di legittime ambizioni ma schiacciati entrambi da una società che (li) costringe a opportunismi e compromessi, Un giorno speciale voleva partire dall’intimità e arrivare a gettare lo sguardo nel baratro morale in cui, indubbiamente, il nostro paese è piombato. Se le intenzioni erano buone, sono purtroppo irrimediabilmente penalizzate da una declinazione che tradisce lo sguardo paternalistico ed elitario che contraddistingue, purtroppo, molti autori del cinema di casa nostra.
Gina e Marco, lei aspirante attricetta fomentata dalla mamma, lui autista al primo giorno di un lavoro ottenuto grazie alla mamma che con fatica si è ingraziata i favori di un prete, viaggiano verso l’incontro con un politico che dovrebbe favorire la carriera della ragazza; si muovono inevitabilmente dalle loro periferie fin dentro un centro di Roma che è anche il suo cuore nero e salottiero. Ma la Comencini, della quale non mettiamo in dubbio buona fede e candore del cuore, di salotti forse ne ha visti troppi.
Superfluo, di fronte ad un film come Un giorno speciale, mettersi a disquisire del piano tecnico realizzativo.
Certo, il film è ben girato, grazie anche al supporto del direttore della fotografia Bigazzi. E certo, alterna ad alcuni passaggi di sceneggiatura e dialogo decisamente mediocri altri in cui si coglie, almeno in parte, la frizzantezza e l’energia che una storia del genere poteva autoalimentare.
Ma a colpire sono altri fattori, che trascendono le capacità più direttamente cinematografiche della regista e degli altri realizzatori.
Il viaggio di Gina e Marco, infatti, tradisce infatti l’esotismo che, agli occhi della Comencini, deve avere la vita dei giovani di periferia; di quelli che un tempo avremmo chiamato proletari. E l’attraversamento di campagne e palazzoni, centri commerciali e piste da bowling sembra allora un safari ad uso e consumo di un pubblico che quelle realtà non le conosce e, probabilmente, le sdegna con preoccupazione.
Non vanno poi meglio le cose quando si raccontano i due ragazzi alle prese con il mondo a loro alieno del centro snob e alto borghese: perché scene come quella in cui il povero Marco è fantozzianamente alle prese con un astice che non sa come mangiare sono pericolosamente in odore di un classismo perlomeno fastidioso.
Ma più dell’incapacità di Un giorno speciale di raccontare i suoi protagonisti senza guardarli dall’alto in basso, è la pretesa della Comencini - ovvia dalla costruzione del film - di farci empatizzare con il loro supposto dramma, a lasciare interedetti. Perché pretendere di farsi commuovere dalla storia di una ragazza che, malvolentieri ma comunque di sua sponte, si reca a prestare favori sessuali a chi la può raccomandare è francamente eccessivo. È figlio di una mentalità che, per ansia di correttezza politica, ignoranza delle cose e volontà di stigmatizzare un sistema indubbiamente canceroso, assegna indiscriminatamente lo status di vittima a chi, ovviamente, ritiene antropologicamente inferiore.
Non basta l’epifania di Marco, che abbandona rabbiosamente un lavoro ottenuto senza merito: Un giorno speciale rimane una denuncia all’acqua di rose di un cinema e una classe sociale che pensa così di lavarsi la coscienza; fino al prossimo giro.
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- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival