Un gatto a Parigi - la recensione del film di animazione

17 dicembre 2014
3.5 di 5
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Un polar raccontato come una fiaba, e con uno stile grafico innovativo e affascinante.

Un gatto a Parigi - la recensione del film di animazione

In  molti, compreso chi scrive, rimasero sorpresi quando, il giorno dell'annuncio delle candidature all'Oscar 2012, si scoprì che a far compagnia a colossi hollywoodiani targati DreamWorks come Il gatto con gli stivali e Kung Fu Panda 2 , o Paramount come Rango , c'era un piccolo e sostanzialmente sconosciuto film francese intitolato Un gatto a Parigi.
Oggi, grazie alla distribuzione di P.F.A. Films, che ha portato il film in Italia, possiamo tutti capire il perché.

Due dei protagonisti della storia (un felino e una città) sono già nel titolo, gli altri sono un ladro gentiluomo, una bambina chiusa nel suo mutismo dopo la morte del padre, sua mamma poliziotta e un malvagio gangster (assassino del marito) cui dà disperatamente la caccia.
Se avete l'impressione che non ci si trovi di fronte a una trama canonica, per un cartone animato, avete ragione: perché si tratta di un canovaccio che pare uscito dritto dritto da un polar degli anni Cinquanta, e non è difficile immaginare che attori come Jean Gabin e Lino Ventura possano essere stati presi a modelli ideali per l'elegante Nico e il villain Viktor Costa. Senza contare la spiritual guidance del Gatto John Robie interpretato da Cary Grant in Caccia al ladro , e una bella colonna sonora soffusamente e fumosamente jazz composta da Serge Besset.

Ma siamo pur sempre all'interno di un genere rivolto anche ai più piccoli, e allora tanto la sceneggiatura di Alain Gagnol e Jacques-Rémy Girerd, quanto la regia firmata a quattro mani dallo stesso Gagnol con Jean-Loup Felicioli, adattano lo scheletro narrativo a un corpo filmico morbido e vagamente fiabesco, dove gli spigoli dell'avventura e della tensione sono sempre addolciti (ma mai negati) in alternanza con un sentimentalismo sobrio, e da un happy ending che avrà anche spazio per l'amore. Ma non prima di una resa dei conti tra le guglie e i gargoyle di una Notre Dame, senza gobbo, che gioca disneyanamente con il limite, il vuoto, la vertigine.

Non è però solo la trama, a rendere insolito e speciale Un gatto a Parigi, né banalmente la sua fierezza tutta analogica che si esprime nel tratto a matita: è tutto un impianto grafico coraggioso, carico di plasticità e dinamismo, che lavora con attenzione e moderate velleità sperimentali su sfondi, design dei personaggi e animazioni, guardando al mondo dell'illustrazione più che a quello del cartoon tradizionale e facendo tornare alla memoria (anche nella scelta le font usato per il titolo ) un altro notevole esempio di cinema d'animazione francese come il collettivo Peur(s) du noir risalente al 2007.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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