Un gatto a Parigi - la recensione del film di animazione
Un polar raccontato come una fiaba, e con uno stile grafico innovativo e affascinante.
In molti, compreso chi scrive, rimasero sorpresi quando, il giorno dell'annuncio
delle candidature all'Oscar 2012, si scoprì che a far compagnia a
colossi hollywoodiani targati DreamWorks come Il
gatto con gli stivali e Kung Fu Panda 2
, o Paramount come Rango
, c'era un piccolo e sostanzialmente sconosciuto film francese intitolato
Un gatto a Parigi.
Oggi, grazie alla distribuzione di P.F.A. Films, che ha portato
il film in Italia, possiamo tutti capire il perché.
Due dei protagonisti della storia (un felino e una città) sono già nel titolo, gli altri
sono un ladro gentiluomo, una bambina chiusa nel suo mutismo dopo la morte del
padre, sua mamma poliziotta e un malvagio gangster (assassino del marito) cui dà
disperatamente la caccia.
Se avete l'impressione che non ci si trovi di fronte a una trama canonica, per un
cartone animato, avete ragione: perché si tratta di un canovaccio che pare uscito
dritto dritto da un polar degli anni Cinquanta, e non è difficile
immaginare che attori come Jean Gabin e Lino Ventura possano
essere stati presi a modelli ideali per l'elegante Nico e il villain Viktor Costa. Senza
contare la spiritual guidance del Gatto John Robie
interpretato da Cary Grant in Caccia al ladro
, e una bella colonna sonora soffusamente e fumosamente jazz composta
da Serge Besset.
Ma siamo pur sempre all'interno di un genere rivolto anche ai più piccoli, e allora
tanto la sceneggiatura di Alain Gagnol e Jacques-Rémy Girerd,
quanto la regia firmata a quattro mani dallo stesso Gagnol con
Jean-Loup Felicioli, adattano lo scheletro narrativo a un
corpo filmico morbido e vagamente fiabesco, dove gli spigoli dell'avventura
e della tensione sono sempre addolciti (ma mai negati) in alternanza con un
sentimentalismo sobrio, e da un happy ending che avrà anche spazio per l'amore. Ma
non prima di una resa dei conti tra le guglie e i gargoyle di una Notre
Dame, senza gobbo, che gioca disneyanamente con il limite, il vuoto, la
vertigine.
Non è però solo la trama, a rendere insolito e speciale Un gatto a Parigi, né
banalmente la sua fierezza tutta analogica che si esprime nel tratto a matita: è tutto
un impianto grafico coraggioso, carico di plasticità e dinamismo, che lavora con
attenzione e moderate velleità sperimentali su sfondi, design dei personaggi e
animazioni, guardando al mondo dell'illustrazione più che a quello del
cartoon tradizionale e facendo tornare alla memoria (anche nella scelta le
font usato per il titolo ) un altro notevole esempio di cinema d'animazione francese
come il collettivo Peur(s) du noir risalente al 2007.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival