Un figlio all'improvviso - la recensione della commedia francese
Una commedia di buoni sentimenti tratta da una pièce teatrale, che si regge soprattutto sulle spalle di due straordinari protagonisti.
La maternità ha molti e contrastanti volti, al di là della retorica e della dottrina religiosa. C'è chi diventa madre per caso senza mai sentirsi tale, chi si realizza in altri modi senza rimpianti, chi affronta il compito con amore e responsabilità e chi è letteralmente ossessionata dall'idea di avere un figlio. Se per qualche motivo non riesce a concepire, è come se alla sua vita mancasse una parte fondamentale, anche se questo voto non è necessariamente evidente e dichiarato.
Appartiene a quest'ultima categoria Laurence, la signora borghese protagonista col marito André della commedia francese Un figlio all'improvviso, tratta dalla pièce teatrale codiretta e interpretata anche al cinema da Sébastien Thiéry. Quando si presenta un sordomuto quarantenne nella loro vita di benestanti con alle spalle un lungo e sterile matrimonio, sostenendo di essere loro figlio, abbandonato da piccolo in orfanotrofio, lei è disposta perfino a credere di averlo partorito senza ricordarsene, tanto forte è il suo desiderio di maternità. Scaturisce da una situazione assurda e paradossale come questa il senso della commedia di Thiéry, il cui obiettivo dichiarato è lo scuotimento della quiete borghese, chiusa nell'egoismo delle sue convenzioni.
Un indubbio pregio del film è quello di non trasporre pedissequamente il meccanismo teatrale sul grande schermo. L'autore si avvale del rapporto di un co-regista, Vincent Lobelle, che conferisce alla messa in scena respiro e vivacità, mentre lui riprende il personaggio a cui ha dato vita e si occupa del testo che ha portato in scena. L'irruzione dell'assurdo nel banale quotidiano fa, ovviamente, ridere e incuriosisce vedere come i protagonisti usciranno da una storia che rischia di spezzarne per sempre le collaudate armonie.
Mentre la moglie abbraccia senza riserve e con una buona dose di inattesa follia questa impossibile maternità, dopo aver escluso le possibilità più reali, tra cui un remoto tradimento del marito, l'uomo, un solido commerciante di materassi, propende per l'ipotesi della truffa. Ma l'amico medico lo consiglia di assecondare la consorte, e i due si ritrovano in casa non solo un ragazzone sordomuto dall'aria non troppo intelligente, ma anche la fidanzata non vedente di lui, incinta, e accompagnata da un enorme pastore tedesco. L'arcano, alla fine, si svelerà, ma la famiglia, ormai, si è formata, e non sarà l'assenza di veri legami biologici a impedirnee l'affetto.
Parte col turbo questa commedia sopra le righe, che non guarda in faccia a nessuno, anche se ride sempre con l'handicap e non dell'handicap. L'autore è cresciuto con un fratello sordomuto e non ha alcuna intenzione di mettere in ridicolo la disabilità: il suo intento è evidente. Patrick, il suo ragazzone goffo e primitivo, è solo un espediente, un reagente utilizzato per provocare la reazione di un ambiente non privo di pregiudizi di fronte alla diversità. In questo senso il film non sarebbe cambiato molto se al posto di un sordomuto ci fosse stato un ragazzo di colore.
Alcune situazioni e battute strappano la risata, ma quello che era partito come un film dirompente alla fine si risolve in un elogio dei buoni sentimenti e in una conversione piuttosto scontata. Viene da pensare che cosa ne sarebbe stato di una trama tanto esile, risolta in meno di 90 minuti, se non ci fossero stati a portarla sulle spalle due attori come Christian Clavier, qua - senza i baffoni di Asterix - irresistibile nevrotico, un campione della commedia fisica capace di far ridere con un solo sguardo, e Catherine Frot, a suo agio in un ruolo diverso dai soliti e in perfetta sintonia col suo bizzarro compagno. E' la loro armonia di opposti l'elemento più valido e la parte migliore di una commedia gradevole come un té coi pasticcini e altrettanto velocemente digeribile.
- Saggista traduttrice e critico cinematografico
- Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità