Un'Avventura Spaziale: Un film dei Looney Tunes, la recensione di un omaggio a briglia sciolta

06 novembre 2024
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Il regista Peter Browngardt ha voluto rendere omaggio alla tradizione più pura dei Looney Tunes in questa Avventura spaziale con Daffy Duck e Porky Pig. L'esito non sarà per tutti i gusti, ma parliamo di animazione 2D vecchio stile, scatenata e irresistibile, se vi piace il genere. La nostra recensione.

Un'Avventura Spaziale: Un film dei Looney Tunes, la recensione di un omaggio a briglia sciolta

Vivono alla giornata, ma Daffy e Porky hanno un solo principio: tenersi cara la casetta che ha lasciato loro il papà adottivo. Quando una forza aliena mette a repentaglio la loro proprietà e il mondo intero, contaminando il chewing gum della fabbrica in cui lavorano, devono cercare di salvare la situazione, con l'aiuto dell'affascinante scienziata Petunia Pig. Ma qual è il piano dell'autoritario alieno?

Se e quando guarderete Un'avventura spaziale: Un film dei Looney Tunes, sappiate che non era scontato: all'insediarsi della nuova dirigenza Warner Bros dopo la fusione con Discovery, c'è stato un colpo di spugna su diversi progetti, per puntare a sgravi fiscali e rimettere i conti in ordine. Batgirl è stato stroncato in post-produzione, l'interessante Coyote vs. Acme in tecnica mista è stato messo all'asta ma nessun compratore ha accettato finora la cifra richiesta, mentre invece questo "The Day the Earth Blew Up: A Looney Tunes Movie" (titolo originale) si è sbloccato... forse perché è costato meno degli altri e si sono trovate altre distribuzioni pronte a raccoglierlo in giro per il mondo. In Italia infatti questo lungometraggio animato, realizzato in origine per lo streaming di MAX, prende la via della distribuzione Lucky Red, non Warner.

Sono anni che il regista e story artist Peter Browngardt cerca di recuperare lo spirito della Termite Terrace dei grandi autori della Golden Age del cartoon americano, come Chuck Jones, Bob Clampett (citato esplicitamente qui), Tex Avery o Friz Freleng. Ha realizzato diversi corti con i personaggi dei Looney Tunes per MAX, ma misurarsi col lungometraggio quando si parla di quella combriccola è assai più complesso, per la loro identità. Se la concorrenza Disney infatti ha sempre creduto nel "plausibile impossibile", nella trasmissione di emozioni che per Walt erano le uniche che avrebbero retto narrazioni emotivamente coinvolgenti sulla lunga durata, la Termite Terrace voleva soprattutto... scherzare e divertirsi. A corpo morto. Demolire la narrazione, sfondare la quarta parete, perché - come diceva Avery - "in un cartoon puoi fare qualsiasi cosa". E allora perché porsi limiti?

Un'avventura spaziale: Un film dei Looney Tunes si scontra come al solito con quel problema di fondo: qui Porky fa da contraltare un po' più assennato di un Daffy talmente fuori controllo ("looney", appunto) da essere refrattario allo svolgimento lineare di qualsiasi sequenza. In questo contesto, è quasi epico che si riesca a fondare una base minimamente emotiva della vicenda, sull'amicizia tra l'anatra e il maiale, messa a repentaglio dall'agitazione psicomotoria h24 di Daffy. Per fortuna, Browngardt conosce i personaggi e sa che non deve esagerare sul piano sentimentale, anzi lo corregge in modo parodistico nell'esilarante prologo col papà fattore Jim, una presenza "rocciosa": è solo parzialmente animato, per non compromettere la sacralità della sua immagine. E lì, reduce dal faticoso Space Jam: New Legends, mangi la foglia e pensi già che sia meglio allacciare le cinture.

L'otto volante difatti parte e... non fa prigionieri. Il film stesso si ribella al racconto lineare (o lo prende in giro), mentre i personaggi, animati con sprezzo del pericolo, esasperando ogni loro movimento o smorfia, premono ai limiti dell'inquadratura quasi la volessero far saltare in aria. È una proposta retrò, un omaggio spudoratamente sincero verso quel modo di divertirsi così antico, per quella clownerie esagitata e deforme del cartoon vecchissimo stile, che ogni tanto affiora per esempio nei lavori DreamWorks (specie l'ultimo Baby Boss), ma oggi di solito con un certo timoroso rispetto verso il racconto. Siamo nell'anno solare che ha visto trionfare la psicologia di Inside Out 2, questa roba arriva dal passato, certo.

Ma per Browngardt non è un problema: prendere o lasciare. Il fatto stesso che abbia scritto il film insieme ad altre dieci (!!!) persone suggerisce quale sia stata la strategia: brainstorming selvaggio in sede di storyboard, come accadeva quando si creavano i corti nei '40 e nei '30, per cavare da ogni sequenza uno spunto per un'idiozia gratuita, un movimento scomposto e inaspettato, uno spazio per divertire divertendosi. Nel film per esempio i personaggi si stupiscono sempre mentre stanno bevendo, onde esibirsi in sputazzi coreografici dalla fisica improbabile. Veniamo sballottolati in un oceano di gag visive e sonore che si susseguono alla velocità della luce, in una direzione artistica nitida d'antan, e con un'animazione 2D a mano libera perfetta: c'è intercalazione manuale, senza l'usuale aiuto vettoriale digitale. Raccogliere in giro per il mondo disegnatori in grado di reggerla in questa qualità è ormai una piccola lodevole impresa, e aiutano partecipazioni speciali di vecchie glorie da Disney e dagli studi di Don Bluth, come John Pomeroy o Dan Haskett.
E di fronte alla malattia della complessità, che sembra aver ormai posseduto il cinema d'intrattenimento hollywoodiano, votato agli "universe", è liberatoria la strategia vincente di Daffy: prendere a martellate tutto. Qualcosa succederà.



  • Giornalista specializzato in audiovisivi
  • Autore di "La stirpe di Topolino"
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