Un amore di gioventù - la recensione del film di Mia Hansen-Løve

21 giugno 2012
3.5 di 5

Un racconto di un amor fou sofferto e chiaramente ispirato dallo stile e dalle atmosfere di certa nouvelle vague, eppure personale e fresco.


Mentre nel nostro paese gli autori “giovani” son quasi tutti intorno (o oltre) i 40 anni, varcate le Alpi c’è una ragazza di quasi un decennio più giovane che ha già alle spalle partecipazioni ai festival più importanti e un’attenzione da parte dalla critica quasi senza uguali in tutt’Europa.

E i 31 anni di Mia Hansen-Løve non sono mai apparsi tanto importanti ed evidenti in un suo film come in questa sua opera terza: tanto nei pregi quanto nei difetti.
Perché nel racconto di un amor fou sofferto e chiaramente ispirato dallo stile e dalle atmosfere di certa nouvelle vague, la regista indugia forse un po’ troppo in certe retoriche tardo-adolescenziali e vagamente immature, trovando però al tempo stesso la sensibilità attenta che è facilitata dalla vicinanza anagrafica coi suoi protagonisti e la freschezza che le permette di scartare il rischio clonazione di modi e temi di film ancora forti ma comunque passati.

Non è malizia immaginare che Hansen-Løve abbia messo molto di sé stessa in questo film e nel personaggio interpretato da Lola Créton (più del semplice legame sentimentale con un mentore di molto più grande di lei che ricorda l’Olivier Assayas che l’ha scoperta come attrice e poi l’ha sposata), né sottolineare come in Un amore di gioventù ci sono, evidenti, Truffaut e Godard, Rohmer e perfino lo stesso Assayas.
Ma il film non è né delirio solipsista e autoreferenziale né omaggio scopiazzante.
Quello della francese è un cinema
chiffon: lieve ma non impalpabile, elegante ma non necessariamente vezzoso, delicato eppure resistente, trasparente quanto basta pur mantenendo la sua opacità e comunque innervato certe increspature critiche che lo salvano da una piatta inafferrabilità. Un amore di gioventù è esattamente così e lascia che tutto questo emerga nella sua apparente contradditorietà, muovendosi leggero e ondivago lungo gli anni travagliati del rapporto tra i suoi due protagonisti.

Alla regista sta tanto a cuore la descrizione dell’amore più puro e acerbo ai limiti del fastidioso quanto quella della sua assenza, della sua trasformazione, del suo corrispettivo responsabile e adulto, ma non per questo meno sincero. E la tratteggia alternando languidità e asprezze, lasciando che la macchina da presa si muova con libertà quasi inaudita lungo gli avvallamenti e le vette (ma anche, e forse sopratutto, gli spazi vuoti) di un panorama emotivo in costante ma quasi impercettibile mutamento.
Senza urla né euforie, ma proprio per questo preciso e doloroso come il taglio di un vetro del quale,in prima battuta, non ci si accorge nemmeno, Un amore di gioventù compie il suo percorso con una disinvoltura che rischierebbe di essere scambiata per distrazione o incoscienza, non fosse per la capacità che dimostra del centrare - magari a scoppio ritardato o con la sordina - il cuore reale delle cose e delle emozioni, e per il fatto che è questa stessa disinvoltura a permettergli un equilibrio sinceramente encomiabile.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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