Un altro mondo - la recensione del film di Silvio Muccino
Per il regista che esordì due anni fa con Parlami d’amore, la voglia di comunicare la trasformazione e la crescita emotiva dei propri personaggi rimane un bisogno incalzante che non lascia spazio a sfumature o sottrazioni. Questo certo è un problema ma non uno strumento di superficiale dissenso.
Un altro mondo - la recensione
Non sono del tutto convinta che Un altro mondo sia un “altro” Muccino, però sono piuttosto colpita dalla motivazione e dalla cura che c’è dietro questo lavoro.
Per il regista che esordì due anni fa con Parlami d’amore, la voglia di comunicare la trasformazione e la crescita emotiva dei propri personaggi rimane un bisogno incalzante che non lascia spazio a sfumature o sottrazioni. Questo certo è un problema ma non uno strumento di superficiale dissenso.
Silvio Muccino, adattando un romanzo di Carla Vangelista, racconta da protagonista (questo probabilmente sempre per non lasciare nulla al caso) il viaggio di Andrea verso un mondo di sentimenti veri, passioni e responsabilità, allontanati con forza fino a poco tempo prima. A traghettarlo da una vita dissoluta e svogliata, condivisa con la fidanzata (Isabella Ragonese) e l’amico del cuore (Flavio Parenti), ad una nuova consapevolezza, è l’Africa.
E dove, nel suo primo film, il bohémien tormentato trovava una guida all’amore in una affascinante donna più matura, qui il suo “maestro” di vita diverrà il fratellino minore keniota.
Un altro mondo, e non è la cosa più scontata da dire, è ben girato. A maggior ragione che ci sono almeno due paesaggi molto diversi da dover gestire. La Roma frenetica, dal ritmo forsennato, dall’ambiente casalingo freddo, ravvicinato e straniante, e l’Africa, più intima, dove il registro si adegua al realismo, i colori si fanno intensi e la macchina a mano si concentra sui soggetti. Un dualismo molto ben espresso mantenendo l’omogeneità del film.
La storia di maturazione, di un nucleo famigliare che si crea d’improvviso quando il fratello di colore torna con Muccino in Italia, ha il punto di forza nel giovanissimo protagonista Michael Rainey Jr., spontaneo, intenso, vivace esordiente al quale si legano tutti i momenti dolcezza, poesia e quei pochi di leggerezza ed ironia (su cui valeva la pena di insistere). Non meno energica nella sua fragilità Isabella Ragonese, convincente anche nel breve e sensuale “happy birthday” da Marilyn.
E’ un film di buoni sentimenti, di crescita e avvicinamento all’altro. D’altra parte “ognuno sente tanto dolore quando si piega in sé e non vede niente”, che potrebbe essere una delle massime del film, invece è una canzone di Enrico Ruggeri (e non è sarcastico). In questo l’uscita natalizia non è penalizzante (sempre se è vero che a Natale siamo tutti più buoni) e la sincerità di Silvio Muccino nel fare qualcosa di profondo nei contenuti (anche nel progetto umanitario che ha sviluppato in parallelo) e accurato si avverte ed è apprezzata.
Solo che, come a uno studente con buone potenzialità si dice “puoi fare di più”, lo stesso si può chiedere a lui. In questo modo, senza troppe premesse o spiegazioni dolenti sui motivi del cercare una giusta redenzione, si può trovare una nuova chiave ambiziosa (quanto i contenuti), sottile ed empatica di comunicare come sarebbe un altro mondo.