Tutti per uno - la recensione del film

01 giugno 2011
3 di 5

Tutti per uno, Evento Speciale di Cannes 2010, è una felice incurisone nell'immaginazione, nei giochi e nella sorprendente autoconsapevolezza di una banda di amici in cui è impossibile non ritrovare ricordi sepolti, quell'entusiasmo e quell'incanto che hanno segnato l'infanzia di noi tutti.

Tutti per uno - la recensione del film

Tutti per uno - la recensione del film

Da quando esiste il cinema, ogni regista che non vuole rischiare imprevisti sul set evita in ogni modo di dirigere attori bambini, a meno che non abbia a che fare con una Shirley Temple, un Haley Joel Osment o una delle prodigiose sorelle Fanning. E se lavorare con giovanissimi attori è un'impresa aurdua, ancora più difficile è fare un film in cui non demandare ai bambini problematiche, concetti e comportamenti da adulti. In passato ci sono riusciti Truffaut, De Sica, Louis Malle e pochi altri. Oggi, invece, a guardare il mondo attraverso gli occhi sinceri dei più piccoli è Romain Goupil, regista-intellettuale da sempre capace di alternare il cinema alla militanza politica.

Il suo Tutti per uno, Evento Speciale di Cannes 2010, è una felice incurisone nell'immaginazione, nei giochi e nella sorprendente autoconsapevolezza di una banda di amici in cui è impossibile non ritrovare quei ricordi sepolti, quell'entusiasmo e quell'incanto che hanno segnato l'infanzia di noi tutti, insieme all'illusione di sentirsi dei piccoli grandi più furbi dei grandi. Con la stessa attenzione con cui Stephen King aveva caratterizzato i giovani protagonisti di It o Stand By Me, Goupil entra silenziosamente e rispettosamente nell'unica comunità umana nella quale – secondo lui – possono ancora esistere la solidarietà, la generosità e l'accettazione del diverso, dello straniero. Nel caso di Tutti per uno, "l'altro da sé" è una bambina cecena di che rischia l'espulsione e nel cui sguardo si legge lo smarrimento dei giovani e vecchi sans-papier che, in Francia come altrove, hanno pagato le conseguenze della politica di rimpatrio dei governi. Governi che attraverso la voce potentissima dei media trasmettono continuamente il seguente messaggio: l'immigrato è un nemico da combattere, un delinquente da allontanare.

Che alla base del film di Roman Goupil ci sia questo grido di protesta è innegabile, eppure lo si sente quasi in sordina, mitigato dal tono scanzonato delle rocambolesche imprese dei bambini protagonisti e soprattutto dalla scelta – felice – di cominciare il racconto nel 2067, con la bambina cecena ormai anziana che ricorda i giorni bui dell'accanimento contro gli immigrati clandestini. Per il regista è un modo per ridurre la reltà a una favola e per trasformare la denuncia in un brutto sogno dal quale l'umanità (probabilmente) si è risvegliata: un incubo in cui nemmeno l'infanzia è sfuggita alla brutalità. In questo senso non è un caso che, in una delle scene più importanti del film, i bambini escano da un nascondiglio con le mani alzate, ripetendo il gesto del bambino del ghetto di Varsavia immortalato nel '43 in uno degli scatti più celebri della storia della fotografia.

C'è un fil rouge, insomma, che collega quelle ingiustizie ai recenti episodi di intolleranza. Anche questo sembra dirci Tutti per uno, con urgenza, ma sempre con delicatezza. Affidato al talento di piccoli attori davvero bravi, il film trae inoltre giovamento dalla bella interpretazione di Valeria Bruni Tedeschi, mamma chioccia pasionaria che rappresenta la Francia più aperta e combattiva. Il suo è un bel personaggio a cui però fanno da contraltare – ed è questo l'unico rimprovero che facciamo alla scenegggiatira di Romain Goupil – bambini troppo bravi, troppo buoni e troppo diligenti. Nella realtà sappiamo bene che non sono tutti così, e lo dimostrano le volte in cui i nostri figli o i nostri nipoti sono stati presi cerudelmente in giro per un nome buffo, una merenda cattiva o le gambe cicciotte.
 



  • Giornalista specializzata in interviste
  • Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali
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