Tutti contro tutti - la recensione del film di e con Rolando Ravello
Con i toni e i modi di una favola, Rolando Ravello denuncia con garbo tutti i soprusi e vizi della nostra società
Se fossero ancora fra noi, chissà cosa penserebbero Vittorio De Sica e Mario Monicelli di Tutti contro tutti, l’opera prima di Rolando Ravello che racconta una guerra fra poveri sullo sfondo di una delle tante periferie multietniche che fanno da cintura a Roma.
Il primo, ricordandosi de Il tetto, penserebbe probabilmente che negli ultimi cinquantasette anni ben poco è cambiato, se è vero che l’individuo non ha ancora la certezza di avere una casa.
Il secondo, invece, contesterebbe forse il tono favolistico del film, riconoscendogli d’altro canto il merito di aver affrontato argomenti per definizione scomodi.
Attraverso la disavventura di una famiglia che, tornando dalla prima comunione del figlio più piccolo, scopre con orrore che il proprio appartamento è stato occupato abusivamente da individui sconosciuti e piuttosto maleducati, Ravello e il suo cosceneggiatore Massimiliano Bruno non risparmiano nessuno e denunciano ogni forma possibile e immaginabile di sopruso, ingiustizia, razzismo, discriminazione.
Con il garbo di certa commedia che sposa il realismo poetico, se la prendono tanto con i nuovi ricchi divorati dall’ansia di ristrutturare ville e giardini, quanto con l’illuminata borghesia radical-chic che ostenta apertura mentale e buonismo.
E se non stupisce, in questo timido j’accuse, la condanna del bullismo di adolescenti ineducati e dell’inutilità della giustizia ad ogni livello, sorprende piacevolmente la sfiducia in una Chiesa Cattolica capace solo di invitare alla preghiera e a porgere docilmente l’altra guancia.
Per quanto giusta, questa crociata contro tutto ciò che denaro e potere guastano costituisce paradossalmente il limite del film, perché da una parte tradisce la sua origine di monologo teatrale, mentre dall’altra toglie un po’ di dinamismo al racconto, procrastinando non poco la soluzione del problema casa occupata.
Molto attento a citazioni e omaggi (e a messaggi), Rolando Ravello perde il controllo di Agostino e signora e li lascia girare a vuoto fra il posto di lavoro e il pianerottolo occupato, mentre Marco Giallini in versione cognato continua a invitare al buon senso e un nonno che sa un po’ troppo di Amarcord ricorre incessantemente al turpiloquio.
Così, quando i personaggi concepiscono e attuano un piano diabolico per stanare gli invasori, ci si domanda perché non lo abbiano architettato prima.
E' nel dosaggio dei vari elementi, insomma, che si perde Tutti contro tutti, che ha comunque il pregio di sventolare la bandiera di un cinema sincero, un cinema che non parla di maschi contro femmine e di coatti e principesse, ma di persone reali, che quando non possono distendersi sul proprio letto, sono costrette a dormire in macchina, invece di andare in albergo come farebbe la maggior parte di noi.
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali