Treno di notte per Lisbona - la recensione del film con Jeremy Irons

12 aprile 2013
1.5 di 5
3

Il danese Bille August torna a lavorare con Jeremy Irons dopo La casa degli spiriti

Treno di notte per Lisbona - la recensione del film con Jeremy Irons

Un mistero tormenta gli amanti di cinema da molti anni: come abbia fatto un regista tutto sommato mediocre come Bille August a vincere due Palme d’oro a Cannes, oltretutto in due sole partecipazioni in concorso. Aggiungiamoci anche un Oscar e l’interrogativo si infittisce.
Difficile trovare risposte soddisfacenti nel suo ultimo adattamento, Treno di notte per Lisbona, l’ennesima coproduzione da uno dei maestri del genere. Danese di nascita ha girato il mondo alla ricerca di location, storie e attori. Questa volta si tratta di una coproduzione svizzera, tedesca e portoghese, girata in inglese e con un protagonista britannico e una francese.

Il punto di partenza è un romanzo di successo del filosofo svizzero Pascal Mercier, denso di riflessioni filosofiche oltre che della storia di un noioso professore di Berna la cui vita ordinaria è sconvolta dall’incontro con una ragazza che cercava di suicidarsi buttandosi da un ponte. La salva, ma lei scappa via, lasciando però dietro di sé un libro di riflessioni esistenziali scritto da un medico della borghesia di Lisbona, membro della resistenza che nei primi anni ’70 si oppose al regime di Salazar.
Un’occasione da non perdere per il professore, che deciderà, in uno slancio di vitalità, di prendere un treno e andare alla ricerca dell’autore di quel libro.

Una storia che ha la struttura tradizionale della ricerca contemporanea di una verità nascosta nel passato e si sviluppa come un’indagine di polizia, con il goffo professore di latino, improvvisamente nei panni dell’investigatore, che gira Lisbona per interrogare sopravvissuti, amici e parenti. Ovvia per lui la bramosia di sapere tutto su chi la vita aveva deciso di viverla intensamente, non come lui, tanto da finire protagonista di vicende intime e personali con ripercussioni dirette nella Storia del suo Paese. Per il professor Gregorius il viaggio a Lisbona diventa un viaggio di ricerca interiore, ultimo tentativo di prendere in mano attivamente la sua vita. Il film cerca di (di)mostrare come dietro a vicende pubbliche ci siano esseri umani: con le loro debolezze, fragilità e gelosie.

Un polpettone poco emozionante, appesantito da un’insistita e fastidiosa voce fuori campo, pronta a banalizzare concetti filosofici legati ad amore, amicizia, mortalità e solitudine. In bilico fra viaggio di auto analisi, giallo storico, storia d’amore, non riesce a trovare una chiave che lo sollevi dalla sensazione di un esperanto emotivo e produttivo superficiale, retorico, che non riesce a toccare le corde giuste.
Sorprende poi che un film che teorizza come i luoghi incidano profondamente sulla vita di chi li frequenta, lasciando tracce che rimangono per sempre, sia riuscito invece a rappresentare in maniera anonima e poco interessante una città affascinante come Lisbona.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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