Tre tocchi - la recensione del film di Marco Risi presentato al Festival di Roma
Sei attori precari si ritrovano ogni settimana nella nazionale attori di calcio.
Sei personaggi in cerca di una parte. Il nuovo film di Marco Risi è incentrato sulle vicende di sei uomini che condividono la passione per il calcio, giocando nella nazionale attori, ma anche la professione di attori, o meglio la voglia di potersi definire tali con qualche riscontro nella realtà. Perché sono per la maggior parte catalogabili in una categoria sempre più diffusa: quella degli attori precari, i proletari del mondo dello spettacolo che nessuno o quasi conosce. Alcuni continuano a seguire il fuoco sacro che li ha spinti a diventare artisti, altri hanno ceduto ai bisogni quotidiani, mettendosi a fare lavori comuni pur mantenendo il sogno in vita.
Il mondo del calcio e quello dell’attore. Due territori così diversi da sembrare in due universi distinti con poche possibilità di comunicare. In Tre tocchi, gergo calcistico alla ricerca di una valenza metaforica anche nella vita, entriamo nello spogliatoio di questi ragazzi, delle loro partite che li impegnano da anni, due volte a settimana. Un mondo chiuso, un cameratismo con regole virili rigorose, di corpi nudi, machismo esibito e la violenza come veicolo di comunicazione, in cui la prima preoccupazione è non apparire debole se non addirittura “frocio”. Sembrano usciti dall’antica Sparta o da un film come 300. Quello che disturba è poi il loro rapporto con la violenza e le donne, banalizzate a oggetti sessuali o rompipalle.
Difficile provare empatia per questi personaggi, discutibili sotto prodotti della società dello spettacolo che scimmiottano vizi e comportamenti delle celebrità del settore senza neanche essere realmente famosi. Come immedesimarsi nelle loro battaglie quotidiane se poi ci vengono raccontati come personaggi di così misero spessore? Cercare un appiglio emotivo diventa un tentativo vano, mentre risultano irritanti i loro comportamenti e polveroso il modo funereo o ridicolo in cui viene messa in scena la ricerca della propria identità sessuale.
Il maschilismo che trasuda da questo film non si può liquidare come conseguenza del racconto fedele di uno spogliatoio di calciatori, a meno di non riconoscere il mancato superamento di una dimensione così rozza e banale. Non riesce la fusione fra questi due mondi: quello del cameratismo da spogliatoio e quello dell’attore. Non si percepisce la sensibilità, la passione, che dovrebbe guidare i personaggi. Purtroppo in Tre tocchi la voglia di raccontare un microcosmo diventa l’occasione per renderlo ancora più lontano dal pubblico, chiuso e capriccioso. Poco di buono anche sul versante delle interpretazioni e di una generale sciatteria che fin troppo spesso dobbiamo riscontrare nel nostro cinema.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito