Travolti dalla cicogna - La recensione del film

19 luglio 2012
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Travolti dalla cicogna è la seconda commedia sulla dolce attesa di questa estate, basata sul romanzo di Eliette Abecassis, Un lieto evento



Le cicogne volano basso, e quando ti colpiscono, anche se in modo non del tutto inaspettato, non è mai (comunque) come ti aspettavi.
Prosaica sintesi della costruzione dell’immaginario neo-genitoriale e successiva, repentina, distruzione dello stesso, il concetto ci viene ribadito ormai da tempo attraverso romanzi, blog, saggi e pellicole cinematografiche, ed ogni volta deve essere “come mai era stato fatto prima”. Continuando a parlare di tabù, quando a conti fatti l’argomento ci sembra davvero, più o meno onestamente, sviscerato.
E’ anche per questo che non è facile per Travolti dalla cicogna, il film di Rémi Bezançon, (seconda commedia sulla “dolce attesa” dell’estate, basata sul romanzo di Eliette Abecassis, Un lieto evento) risultare fragrante di un diverso sguardo, o taglio, sull’attualissima - ma paradossalmente ancestrale- questione.

Il film (che vuol far sorridere, prendendosi sul serio) infatti si muove, soprattutto nella prima parte, arrancando un po’ dietro ad una pretesa originalità piuttosto sfuggente. Ad ostacolarlo, forse, i cliché con cui viene raccontata l’invidiabile coppia (formata da Louise Bourgoin e Pio Marmai), fulgida e naive davanti al proprio “amore ai tempi della crisi” (che con tutt’altro piglio e tenerezza Sam Mendes ci aveva mostrato in American Life) e altrettanto scontata nel momento del tracollo, e quelli con cui si tratteggia il milieu candidamente borghese che fa da contorno. Personaggi che fanno, passo dopo passo quello che ci si aspetta che facciano.
Timori e tremori veri sono quasi impercettibili e poche anche le tracce di quell’intimità viscerale, del senso profondo di maternità, di cui al cinema, soltanto con Tree of Life abbiamo fatto davvero esperienza, e con tutti i sensi.
Strano, perché le scene (molto real) di nascita e primi istanti di vita, sono di un certo effetto, e i personaggi e le loro vicende, sulla carta, sembrano di quelli da manuale di immedesimazione.
Trentenne neo-mamma precaria, scavalcata nel lavoro da uomo baby-free? Presente. Maschio con sindrome di Peter Pan amorevole, ma evidentemente inadatto alla responsabilità? Presente.
Suocera velenosa con ostinato complesso edipico? Presente.
Mamma criticona a cui per contrappasso rinfacciare gli errori? Presente.
Setta di forsennate dell’allattamento al seno? Presente
Coppia sfasciata dal brutale quotidiano? Onni-presente.
Ma i manuali, come i corsi pre-parto, lasciano il tempo che gli abbiamo, forzatamente, trovato. Si partorisce da sempre con lo stesso dolore e la stessa paura, milioni di istanti identici e assolutamente unici, come si affoga nell’inadeguatezza anche dopo aver ascoltato cento consigli e averne rifiutati altrettanti, sicure di potercela fare con le proprie convinzioni. Ci arriva la protagonista, in una progressiva presa di coscienza che coincide con la migliore parte del film. Quella in cui viene ristretto proprio su di lei lo spazio di indagine, prima più ampio ma inefficace. Emerge cosi il vero pregio della pellicola, e mentre Barbara (laureanda in filosofia, immobilizzata dall’astrazione) affronta il suo abisso, il film, attraverso lei, ci ri-porta davanti a quello che siamo diventati negli ultimi decenni. Esseri sprovveduti davanti alla vita, bloccati in concetti imposti (non sappiamo neanche più da chi) che si vorrebbero credere realtà e che si rivelano ingannevoli come il più illusorio dei miraggi.
Uomini e donne in continua rincorsa verso la recriminazione di mancanze e assenze, determinate da parametri tanto condivisi quanto deleteri; in corsa verso un qualche riconoscimento promesso e atteso, proprio per quella che è la cosa più naturale del mondo.

Ma con Barbara ci porta anche davanti alla silenziosa e potente constatazione del superamento dei propri limiti, lo spostamento del margine, tutti i giorni, sempre un po’ più in là, oltre quello che credevi ti fosse possibile. Meraviglia, e il film che la sappia raccontare con la giusta leggerezza, struggimento, coraggio, sfrontatezza e naturalezza deve ancora arrivare.



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