Tótem: la recensione del dramma messicano di Lila Avilés in concorso a Berlino
Un compleanno speciale, un padre malato e una figlia che insieme alla madre vogliono rendere la festa unica. Una storia corale messicana Tótem di Lila Avilés è stato presentato in concorso al Festival di Berlino. La recensione di Mauro Donzelli.
È un giorno importante, lo si capisce subito, nella labirintica casa dalla struttura misteriosa e vitale. Si attende di spostarsi in giardino per un festeggiamento. La piccola Sol, 7 anni, è il nostro punto di ingresso in questa storia e per la prima parte il punto di vista, prima di lasciare spazio, una volta ultimati i preparativi, alla festa vera e propria, agli adulti, con i loro discorsi goffi o commossi, disincantati e sinceri.
Perché, al di là delle torte in preparazioni, dei festoni appesi, è una festa a dir poco malinconica, probabilmente l’ultimo compleanno per il giovane papà di Sol, Tonatiuh detto Tona. Un nome orgogliosamente mesoamericano, che rimanda al termine azteco per identificare il Dio Sole, come alcune suggestioni e riferimenti ancestrali e spirituali che condivide questa famiglia allargata. Lo suggerisce il titolo, Tótem, di questa opera seconda della quarantenne Lila Aviles, che rimanda a un’entità che ha un significato simbolico al quale ci si lega per una vita intera.
Sono tutti a casa del nonno, anch’esso malato, mentre il ricordo della nonna da poco scomparsa per un cancro riecheggia fra le mura scure e vitali, a costruire un microcosmo allo stesso tempo soffocante e pieno di quella vitalità che fratelli e sorelle, bambine e cuginette cercano in ogni modo di evocare. Mentre altri totem abbondano, come i riferimenti ad animali, o i quadri dipinti dal festeggiato pittore in fin di vita, per l’occasione tolti dalla parete. Gli si richiede un ultimo sforzo, un saluto alla vita, alla figlia, ai suoi amori e ai suoi affetti, in una storia frenetica come il caos di un formicaio che si popola di risate e commenti, discussioni e speranze. Una luce a illuminare l’ombra della morte, presente e pulsante come una camera a spalla sempre in movimento, ora ad altezza bambina, ora più seria a seguire gli adulti. Una specie di veglia vitale, una preparazione rituale a lasciare andare via, portandosi dietro le fratture di una famiglia sconquassata dalle radici.
Tótem è anche la storia della prematura perdita dell’infanzia da parte di Sol, pienamente consapevole di come la vita presto non sarà più la stessa, per lei, per la madre, la zia e tutti i suoi affetti. Si concede solo pochi momenti iniziali per far emergere l'ultimo bagliore del candore puro dei suoi 7 anni, quando su richiesta della madre esprime un desiderio che sa di ultimo atto da bambina: “che papà non muoia”. Alviles tratteggia con abilità i limiti e gli spazi di una grande casa con la cocciutaggine di un rumba ultimo modello, ma anche con l’anarchia casinista e rigorosamente analogica della cultura messicana.
Un addio senza retorica, occhi asciutti e smancerie presto represse, quando qualcuno si azzarda, Tótem è come un soffio di vento vitale che arriva atteso in una giornata estiva, provoca un sollievo gradevole, pur non persistendo nel suo effetto benefico più di tanto. Si ferma forse dopo non molto, perde un po’ la sua efficacia appena il trambusto si è quietato, ma dimostra una sensibilità lodevole da parte della sua autrice. E che bambine irresistibili.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito