Tornando a casa per Natale - la recensione del film di Bent Hamer
Il Natale, se non lo si odia, è una cosa seria. In Scandinavia - e in Norvegia, come in questo caso – lo è ancora di più. E quindi era interessante vedere come un regista norvegese come Bent Hamer, autore di film insoliti e caustici come Kitchen Stories o Il mondo di Horten, si sia avvicinato al grande filone del cinema che racconta i ...
Tornando a casa per Natale - la recensione
Il Natale, se non lo si odia, è una cosa seria. In Scandinavia - e in Norvegia, come in questo caso – lo è ancora di più. E quindi era interessante vedere come un regista norvegese come Bent Hamer, autore di film insoliti e caustici come Kitchen Stories o Il mondo di Horten, si sia avvicinato al grande filone del cinema che racconta i sentimenti e lo spirito di questa festività.
Per Hamer, il punto di partenza di Tornando a casa per Natale è stato una raccolta di racconti del connazionale Levi Henricksen, segnalatagli dalla moglie e rielaborata attraverso il suo sguardo indagatore ed obliquo sulla (sur)realtà che è tipico della sua produzione. Storie intrecciate di diversi personaggi nel quadro sfocato della piccola cittadina di provincia di Skogli la notte della Vigilia; storie di solitudini e d’incontri, di gioie e dolori, di speranze e frustrazioni, attraverso le quali Hamer sembra sovvertire i tradizionali toni edulcorati e buonisti del genere in questione, ma senza privarlo della spinta (irrinunciabile?) alla bontà e all’altruismo.
Tornando a casa per Natale è un film dai toni agrodolci, per appoggiarsi ad un aggettivo abusato e dagli incerti contorni, ma lo è secondo la declinazione del termine propria di Hamer, dove non c’è la paura di sporcarsi le mani con i sentimenti più puri e innocenti e allo stesso tempo non si rinuncia quell’acido e cinico realismo che non spinge verso un risultato uniformemente conciliatorio. Ricordando vagamente, in tal senso, quel piccolo gioiellino in stop motion che era The Junky’s Christmas, basato su di un racconto di William S. Burroughs.
Le solitudini e le nostalgie che appaiono pervasive e trasversali, nel film di Hamer, sono rotte solo da alcuni dei personaggi che ne animano le vicende, solo alcuni dei microcosmi descritti riescono a trovare un equilibrio interno. E laddove vi è successo, non manca mai comunque qualche elemento perturbante, così come anche nelle linee narrative dagli esiti più tragici non mancano piccoli spunti di speranza. Contrasti vitali, più che la volontà di tenere i piedi in due scarpe. Perché se la tradizione vuole che “a Natale son tutti più buoni”, questo può valere anche per Bent Hamer. Anche se abbiamo amato di più i suoi titoli precedenti, nei quali la personalità del regista emergeva più pura, secca e spiazzante.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival