Thunderbolts*, la recensione del film più dark del Marvel Cinematic Universe

29 aprile 2025
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Chiude la Fase 5 del Marvel Cinematic Universe il corale Thunderbolts*, una coalizione di antieroi tra la crudezza di una Suicide Squad e una nobiltà d'animo di fondo che guarda agli Avengers. Colpisce soprattutto il tema portante, insolito per un cinecomic, in grado di dare al film una sua identità. La nostra recensione.

Thunderbolts*, la recensione del film più dark del Marvel Cinematic Universe

Yelena (Florence Pugh) non ce la fa più: vorrebbe ritirarsi dalle sue missioni segrete al soldo della CIA e della cinica Valentina (Julia Louis-Dreyfus), ma accetta l'ultima... che potrebbe rivelarsi fatale. Qualcosa non quadra, così l'ex-Vedova Nera si ritrova con Ghost (Hannah John-Kamen), Taskmaster (Olga Kurylenko) e John Walker (Wyatt Russell) in una trappola potenzialmente mortale, per giunta trascinandosi dietro un individuo misterioso e spaesato che risponde al nome di Bob (Lewis Pullman). Un Bucky Barnes (Sebastian Stan) annoiato dalla politica e un Red Guardian (David Harbour) sempre entusiasta daranno loro una mano a salvare la pelle a loro stessi... e forse al mondo intero.

Thunderbolts* di Jake Schreier non si trova in una situazione ottimale: il più discusso Captain America: Brave New World è stato accolto tiepidamente al boxoffice, mentre tutti aspettano a luglio la partenza della Fase 6 del Marvel Cinematic Universe, con I Fantastici 4 - Gli inizi atteso come il vero "colpo di spugna" sugli ultimi anni difficili dei Marvel Studios. Solitamente le opere che partono da sfavorite possono anche avere un paradossale vantaggio: basta loro poco per sorprendere, perché il pubblico vi si avvicina con aspettative assai basse. Bisogna quindi cercare di mantenere uno sguardo lucido per non farsi troppo influenzare, né da chi ansiosamente attende la conferma di una "schifezza annunciata" (eufemismo), nell'ansia di risparmiare il biglietto del cinema, né da chi si appiglia alla novità per gridare all'evento del secolo.

Se volessimo sintetizzare con equilibrio, Thunderbolts* è un film soltanto onesto, che però sfodera qualcosa in più quando non te lo aspetti. Non è di certo nuova l'idea dei supereroi alternativi che non sono modelli di comportamento: bande di anti-eroi, anzi anti-supereroi, che abbiamo già visto all'opera nei Suicide Squad o in Doom Patrol. Guardacaso citiamo la DC, perché in effetti in casa Marvel Studios non si è mai amato molto questo registro, spesso associato dalla Disney a poco lucrativi divieti ai minori: un tabù rotto solo dalla deriva sboccata e goliardica di Deadpool & Wolverine l'anno scorso. Ora, il bello della sceneggiatura di Eric Pearson e Joanna Calo sta nel trovare una via di mezzo particolare tra il registro grottesco-violento di un Suicide Squad e la nobiltà d'animo degli Avengers. Come tono, Thunderbolts* richiama più che altro i momenti più demoralizzati dei Guardiani della Galassia, per cui non si sfocia mai nel vero e proprio materiale "sconsigliato ai più piccoli". In teoria.

Thunderbolts* non è di certo un profluvio di violenza o turpiloquio, eppure sin dalla prima scena mette in chiaro il nucleo del suo racconto: la depressione. Non era facile scegliere questo tema e costruirci attorno un copione il più possibile ironico (con un buon assist in questo senso dal cast, non ultima la spiritosa Valentina di Julia Louis-Dreyfus). Ma la realtà è lì nell'introduzione, abbondantemente promossa dalla clip più pubblicizzata, dove Yelena sembra gettarsi da un altissimo edificio, per rivelare poi che lo fa solo per raggiungerne agevolmente un'entrata. Eppure il seme è piantato... e finisce per crescere fino a un climax che non vi riveliamo di certo, ma che con umiltà ritocca le aspettative dei soliti scontri apocalittici finali dei cinecomic, per diventare una metafora particolare dell'opporsi al "male oscuro". Dopo alcune promesse di film marveliani "più dark", spesso dark solo nella facciata, qui qualcuno ha deciso di fare sul serio... nella sostanza.

In definitiva, c'è del coraggio in Thunderbolts*, un coraggio che tuttavia non lo trasforma di certo in un film epocale: se non fosse per la discussa originalità del tema portante, rimarrebbe poco. La costruzione coreografica è molto essenziale, non sostenuta da un production design poco memorabile, con scene d'azione per la maggior parte piuttosto scolastiche. I protagonisti poi, com'è successo agli ultimi film Marvel, sono ex-comprimari dei lungometraggi precedenti, con tutte le conseguenze del caso: a dispetto di performance molto efficaci (Pugh e Harbour su tutti, strepitosi in inglese col loro accento russo), non avranno mai il traino dei grandi eroi e delle grandi star che attiravano le masse al cinema fino a qualche anno fa. Loro malgrado, perché l'impegno c'è.



  • Giornalista specializzato in audiovisivi
  • Autore di "La stirpe di Topolino"
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