The Water Diviner - la recensione dell'esordio alla regia di Russell Crowe
L'attore dirige se stesso in un dramma postbellico
Australia, 1919. La moglie dell'agricoltore rabdomante Joshua Connor (Russell Crowe) si toglie la vita, non avendo mai elaborato il lutto per la perdita dei suoi tre figli, uccisi nella battaglia di Gallipoli durante la I Guerra Mondiale. Sentendosi in colpa per non essere mai andato a cercarne i corpi, come sua moglie chiedeva, Joshua parte per la Turchia. Qui conoscerà Ayshe (Olga Kurylenko), bella albergatrice con marito morto al fronte, e Hasan, eroe di guerra turco, indiretto responsabile della morte dei suoi figli. Ma cosa conta davvero quando la guerra è finita?
Bisogna ammettere che per la sua prima regia con The Water Diviner, Russell Crowe ha lastricato un terreno di buone intenzioni. Ispirato a una storia vera, il racconto esplora un periodo poco gettonato, quello del primo dopoguerra, con una prospettiva di coraggiosa tolleranza, anche di fronte al dolore più lancinante. La ricostruzione d'ambiente incuriosisce, e alcune sequenze, come il flashback con la lunga agonia dei tre figli sul campo di battaglia, non si dimenticano, conducendo i giovani attori verso l'intensità viscerale del Crowe attore. In generale la star si impegna per confezionare il film sulla scia del cinema che ama e di solito interpreta: ampio respiro, dilemmi morali classici, grandi lutti, viaggi, avventura, epos.
Buone intenzioni, si diceva, ma se si parla dei risultati c'è qualche problema: già dai font esotici dei titoli di testa s'intuisce che l'approccio del Crowe regista è piuttosto ingenuo, e ciò si traduce in una retorica schematica più banale dei temi che reggono The Water Diviner. La sua stessa caratterizzazione di Joshua si ferma a metà strada, sempre in bilico tra il tipico eroismo guappo di molti suoi personaggi e il tentativo di dipingere un pesce fuor d'acqua, quasi Crowe temesse di deludere il suo pubblico. La base di storia vera è poi ampiamente romanzata, non risparmiandosi comprimari prigionieri degli stereotipi, e passaggi alquanto... naïf, come l'uso dei poteri rabdomantici per ritrovare i cadaveri dei figli seppelliti, o una sequela incredibile di coincidenze da romanzo d'appendice, che cozzano con il realismo delle tematiche trattate.
E' in sostanza ammirevole che Russell Crowe abbia mirato in alto con il suo esordio alla regia, dimostrando di voler dare un valore a un passo così importante, ma sono forse proprio le ambizioni a far risaltare la sua direzione per forza di cose acerba.
- Giornalista specializzato in audiovisivi
- Autore di "La stirpe di Topolino"