The Postman's White Nights - la recensione del film russo di Andrei Konchalovsky

06 settembre 2014
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Un postino in un villaggio sperduto della Russia profonda.

The Postman's White Nights - la recensione del film russo di Andrei Konchalovsky

Il cinema russo continua a lanciarsi alla scoperta della sua sterminata ricchezza naturale, lasciandosi alle spalle i problemi di convivenza urbana e vagando per gli infiniti spazi in cui ambientare storie ambientate oggi, ma se fosse un secolo fa poco cambierebbe. Uno dei grandi autori della diaspora sovietica, Andrei Konchalovsky, tornato stabilmente in patria da tempo dopo trascorsi hollywoodiani di varia fortuna, conferma questa tendenza in The Postman’s White Nights. Se nello splendido Leviathan, premiato a Cannes, i bei paesaggi non distoglievano, al contrario, dalle ingiustizie sociali e politiche della Russia di oggi, il più allineato Konchalovsky preferisce la chiave della nostalgia, dell’astrarsi dall’oggi.

Siamo in un remoto angolo della grande madre, sulle rive del Lago Kenozero, in cui gli abitanti rimasti vivono come i loro antenati. L’età media è molto alta. Tutti si conoscono, passano il tempo guardando dalla finestra quel poco che accade. Producono quello che gli serve, in autarchia, senza dover avere troppi contatti col mondo esterno, con “la grande terra”.
Unico collegamento con la civiltà il postino, con la sua barca a motore, orgoglioso caronte un po’ impiccione. Una donna lo colpisce al cuore, è proprio innamorato, porta spesso in giro il suo irresistibile ragazzino. Ma un brutto giorno il motore della barca si guasta e per di più la sua amata - diciamo più pronta a sfruttare la galante cortesia dell’innamorato che a cedere alle sue lusinghe - si trasferisce in città.

Regista dalle mutevoli opinioni sul suo paese e sul mondo, così come il fratello Nikita Michalkov, entrambi passati tra le file dei sostenitori di Putin, Konchalovsky ha voluto raccontare un luogo e i suoi abitanti, più che una storia. Un luogo magnifico che filma con maestria, seducendo con il continuo fluire della quotidianità attraverso lo sguardo di attori non professionisti, quasi tutti, scelti dal regista fra gli abitanti reali del villaggio.

Un film che guarda al passato, si disinteressa del presente e delle sue dinamiche, proponendo una carrellata di volti, di personaggi catturati in situazioni ordinarie. Non dimentica, però, la sua antica ironia e ci propone qualche improvviso elemento in arrivo per turbare l’idillio, come un gatto che spunto dal nulla, coro ironico che si diverte a vedere e magari a giudicare in silenzio. Ognuno a suo modo vive nel passato, si appiglia allo stato paternalistico che pensa a tutto di sovietica memoria, ma soprattutto alla medicina sempre valida, la vodka. Per qualsiasi cosa c’è lei, le giornate sono meno dure quando la noia si può dimenticare con qualche sano bicchiere di vodka.

The Postman’s White Nights è un ritratto di situazioni gustoso, ma effimero, come una battuta che fa ridere mascella a terra più perché siamo all’ennesimo giro di vodka che perché sia effettivamente così divertente.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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