The Master - la recensione del film di Paul Thomas Anderson
Il regista americano procede con coerenza sulla strada già tracciata con Il petroliere, firmando un film oggettivamente "bello" ma algido e di testa.
Nel titolo c'è tutto.
Perché il Master del film di Paul Thomas Anderson non è (solo) il personaggio interpretato da Philip Seymour Hoffman. È (anche) un'entità metafisica e astratta: è la sua ossessione di controllo e di potere, è la rabbia inquieta del Freddie di Joaquin Phoenix, è il bisogno di amore di entrambi, è la schiavitù di tutti noi nei confronti di qualcosa, di qualcuno.
"Se trovi il modo per vivere senza un padrone, faccelo sapere" dice, più o meno - e non senza un velo di speranza e invidia - il Master al suo pupillo. Perché la libertà è cura.
L'incontro tra i due protagonisti è fulminante. L'intesa e l’attrazione reciproche sono immediate, così come la concessione di una difficile fiducia. Se questo accade, facendo del film non una storia “sulle sette” ma un’epopea di vita e d’amore (in senso tanto ampio da non lesinare nemmeno in sfumature omoerotiche), è perché Lancaster e Freddie sono due facce della stessa medaglia, due opposti che si attraggono. Ognuno nel tentativo – nel primo caso cosciente, nel secondo no – di cannibalizzare l’altro allo scopo di ottenere qualcosa. Di soddisfare un desiderio. Di raggiungere un equilibrio.
“I lati negativi sono poli e con quelli positivi portano il bilancio allo zero che è necessario per la vita” dice, ancora e all’incirca, il personaggio di Hoffman.
L’attrazione, l’equilibrio, la sanità mentale, lo spettro della madre, il sesso, il desiderio: tutte questioni centrali in quella psicoanalisi che viene metaforicamente evocata attraverso le tecniche del Culto del Maestro. E, quindi, la relazione tra Lancaster e Freddie è, letteralmente, anche quella tra l’analista e il suo paziente, con tanto di transfert: un analista che, però, a questo transfert non è in grado di rispondere adeguatamente, che non accetta l’emancipazione del suo paziente. La sua disillusione. La libertà (da ogni padrone) che è la cura.
Raccontato con uno stile cinematografico esemplare, maestoso senza ridondanze, con una scrittura limpida e intelligente, con interpretazioni di grande intensità, il magma emotivo della storia d’amore e di vita di Lancaster e Freddie rimane però imbrigliato dalla rarefazione, all’algidità intellettuale e quasi scientifica dell’Anderson regista, che mai si abbandona alla calda e rabbiosa visceralità de Il Petroliere.
The Master è allora indubbiamente un film “grande” in più di un senso, denso e rarefatto, assai complesso. Ma anche un film che tenta, forse per pudore, forse con (o senza) ragione di equilibrare i poli, di raggiungere una neutralità che, come dimostra la parabola stessa dei personaggi, necessaria alla vita non è. E nemmeno al cinema.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival