The Lady - la recensione del film di Luc Besson
La recensione di The Lady, il film di Luc Besson con Michelle Yeoh incentrato sulla figura di Aung San Suu Kyi, l'ativista birmana Premio Nobel per la Pace nel 1991.
Continuando nella sua esplorazione di protagoniste femminili, dopo Adèle Blanc-Sec, e passando per i Minimei, ecco che Luc Besson si dedica nuovamente al racconto (avventuroso) di un'altra eroina.
Ma non c'è nulla di fumettistico o d'ironico, nella storia di The Lady, biopic dedicato all'attivista birmana Aung San Suu Kyi premiata con il Nobel per la Pace nel 1991 e da decenni in prima, faticosissima linea per portare la democrazia nel suo paese. Per la prima volta in carriera alle prese con un tema così delicato e con un film "d’impegno civile", il francese non si scompone più di tanto e conferma di essere un capace imprenditore prima che un regista.
Si tratti di fantascienza, azione, racconti per ragazzi o biografie, Besson sa sempre quali sono i tasti giusti da schiacciare nel momento giusto per ottenere l'approvazione del pubblico. O perlomeno di quello meno smaliziato.
A The Lady, quindi, non manca un briciolo della retorica o dell'agiografia che ci si poteva attendere fin dall'inizio, tese al ritratto di una donna che ha sacrificato tutto di sé ed ha accettato una prigionia non certo solo fisica nel nome di un bene superiore e collettivo. L'andamento è furbamente sinuosoidale, capace di alternare con rassicurante regolarità i periodi più cupi e disperati della lotta della protagonista ai momentanei, eterei ed esaltanti successi. E, altrettanto furbamente, Besson chiude il suo film sull'onda colorata e benaugurante della rivolta dei monaci del 2006, senza però curarsi di ricordare come quel movimento su represso nel sangue in tempi brevissimi. L'illusione del successo nelle immagini, il ricordo di una nuova sconfitta e di una battaglia ancora in corso solo nelle didascalie.
Politicamente nullo, The Lady è paradossalmente (e perversamente) efficace quando affronta con smaliziata abilità il versante personale e privato della storia di Aung San Suu Kyi, facendo del marito Michael Aris un vero e proprio (co)protagonista. Dietro una grande donna c'è sempre un grande uomo, sembra sostenere Besson non senza un'ombra, pur leggera, di maschilismo: e Aris, sempre supportivo nei confronti della moglie nonostante le sofferenze e i sacrifici sopportati fino alla morte avvenuta per cancro, finisce per diventare il vero martire del film.
Garantendo alcuni efficaci momenti che raccontano del grande amore che legava i due, e supportando il cuore emotivo della storia, l'aspetto privato della vicenda finisce con il caricare più del dovuto l’accento sulla testarda (perfino ossessionata) ostinazione necessaria a una donna come Aung San Suu Kyi per combattere le sue battaglie.
Così, un ritratto cinematografico altrimenti integerrimo, un santino dichiarato, viene macchiato in maniera sottile ma palpabile e, involontariamente, The Lady fa nascere qualche dubbio sulla scelta di confine tra altruismo "alto" e collettivo ed egoismo privato "basso" della protagonista.
Di fronte a un film così, donna per donna ed eroina per eroina, al cinema e nel cinema di Besson preferiamo di gran lunga Adèle Blanc-Sec.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival