The Innocents: recensione del thriller-horror norvegese in streaming su RaiPlay
La crudeltà dei bambini, l'impossibilità degli adulti di comprendere le menti dei loro figli, la strutturazione di un'idea di etica e di morale. Ci sono tantissime cose dentro il film di Eskil Vogt che venne presentato a Cannes, ma prima di tutto c'è un racconto cinematografico esemplare. La recensione di The Innocents di Federico Gironi.
Non è che ci siano i bambini da un lato, e gli adulti dall’altro.
Ci sono i bambini, e gli adulti sono sfondo, contorno, cornice. Non solo irrilevante, ma fuori dal quadro (anche se non dall'inquadratura). Non per cattiva volontà, o per incapacità, o per incuria: semplicemente per una conclamata impossibilità di comprendere appieno un mondo altro, vastissimo, ma di cui ignorano totalmente l’esistenza. C’è questo, prima di ogni altra cosa, dietro all’elegantissima facciata thriller-horror di The Innocents, sotto la storia letterale fatta di solitudini, amicizie, rivalità e poteri paranormali. Questa incomunicabilità - letterale e esplicita - tra due mondi, che va di pari passo con un’altra contrapposizione binaria: quella tra il Bene e il Male. E quindi, non dovrebbe sorprendere affatto che, oltre che un thriller, o un horror, quello di Eskil Vogt è, in maniera altrettanto evidente e importante, un racconto di formazione.
Non è infatti che Ida, la bambina di nove anni che è il nostro punto d’ingresso nel film, nonché il nostro punto di vista privilegiato su quanto accade, si presenti infatti benissimo, incline com’è a fare dispetti crudeli, come crudeli solo i bambini possono essere, alla sorella maggiore Anna, affetta da una grave forma di autismo. Ma nel corso di una tiepida estate norvegese, nel contesto di un quartiere suburbano alla periferia di Oslo, palazzoni anni Settanta circondati da boschi da fiaba nei quali incontrerà prima Benjamin e poi Aisha, l’uno telecinetico, l’altra telepatica, Ida sarà costretta a crescere, a rivalutare e rivedere il suo rapporto con la sorella, a sviluppare un’idea di etica e di morale.
Attraverso la scrittura di Vogt, precisa e raffinata come la sua messa in scena, la questione potenzialmente pericolosa dei superpoteri e quella a suo modo altrettanto scivolosa dell’autismo diventano metafore utili al discorso portato avanti dal film.
Da un lato i bambini hanno un mondo loro, ma anche risorse straordinarie, inimmaginabili a chi vede nell’infanzia solo uno stadio inferiore dell’evoluzione umana prima della presunta completezza dell’età adulta. Dall’altro, il ripiegamento di Anna in sé stessa e nei misteri della sua mente è l’esempio lampante dell’incapacità del mondo adulto a entrare in quel mondo interiore, che invece riuscirà a comunicare con quello degli altri bambini (nonché a rivelare potenzialità che sono il contrario di quanto normalmente associato a quella condizione).
Come ha ricordato Pier Maria Bocchi nel suo recente “So cosa hai fatto - Scenari, pratiche e sentimenti dell’horror moderno” edito da Lindau, “nel Nord Europa l’horror è il campo dell’argomentazione sociale”, e quindi “l’horror è una cosa serissima”. In The Innocents non c’è traccia d’ironia, né di umorismo, ma non c’è nemmeno quella pesantezza e quella rigidità tipiche di chi, specie a latitudini più meridionali, subordina il racconto e il cinema alle necessità del tema e del messaggio.
Vogt distende il suo film senza però dilatarlo, e permette alle psicologie di sedimentarsi e di evolvere, le atmosfere di crescere negli spazi ampi e allo stesso tempo vagamente claustrofobici che gli ambienti in cui gira mettono a sua disposizione. La sua preoccupazione primaria sta nell’efficacia di ciò che racconta e mette sullo schermo, nel perfetto funzionamento del film come genere, ma non per questo, oltre ai suoi discorsi simbolici principali, rinuncia a pennellate che parlano di questioni di classe, di disfunzionalità, di razzismo.
Alla fine dei conti, però, è nel percorso di crescita di Ida, e nella possibilità che ha di riallacciare un rapporto con la sorella, che si nascondono le cose più belle di The Innocents, le cui scene finali mettono in scena in maniera inequivocabile una questione di sguardo (lo sguardo consapevole dei bambini, quello ignaro di tutto degli adulti) che sembra riguardare anche il modo in cui noi, spettatori, decidiamo di guardare e valutare quel che ci scorre davanti agli occhi.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival