The Hollars: recensione del film diretto e interpretato da John Krasinski
Piccoli Cameron Crowe crescono, o quasi: una commedia venata di dramma, che si appoggia su un cast scelto e usato con intelligenza.
Più archetipica e standardizzata della storia del ritorno a casa e alla famiglia lasciata alle spalle di un personaggio che si è emancipato e urbanizzato, nel cinema indipendente americano forse non c'è nient'altro.
Non c'è molto da sorprendersi, allora, se con The Hollars - che è la sua seconda regia - John Krasinski non rivoluzioni una struttura narrativa o rivoluzioni un sotto-genere.
Ma, se è vero che il film non aggiunge nulla di nuovo a tante altre simili, e Krasinski si accontenta di fare il Cameron Crowe (o perfino lo Zack Braff) in minore, questo non vuol dire che non valga vedere quello che c'è dentro il suo film.
A portare a casa il personaggio di Krasinski (che del film è anche protagonista, e produttore), e a fargli lasciare a New York una fidanzata incinta, è un tumore grosso come una palla da softball trovato in testa alla mamma Margo Martindale: e già qui s'intravede come Jim Strouse, autore del copione, abbia voluto ammiccare al circolo dell'esistenza nella struttura di base della sua trama.
Ma non è questa idea di circolarità sottostante, non è il grande disegno, a fare la forza di The Hollars: sono piuttosto le sue sfumature, le scelte cromatiche, i piccoli e grandi dettagli.
Forte di ottime scelte di casting - non solo la bravissima Martindale, ma anche Richard Jenkins e Sharlto Copley, padre e fratello del protagonista - Krasinski dosa con leggerezza il mix tra commedia e dramma del copione, e non sono poche le scene in cui la verve dei dialoghi si fa quasi irresistibile, né mancano i momenti di elementare ma sincera emotività legati ai rapporti familiari: che sono ovviamente un po' disfunzionali, ma nemmeno troppo.
I rimorsi dei più anziani, il rimpianto del tempo perduto, le paure dei più giovani, che tremano di fronte a un'imminente paternità o sono fuggiti, per poi pentirsene, da una famiglia messa su troppo in fretta. Di tempo e di tempismo, parla allora The Hollars, di quel posto nel mondo e nella vita che riconoscerai come tuo quando ci arriverai, per citare mamma Hollar. Di uno smarrimento che è prima di tutto maschile: perché, e lo dice ancora ma' Hollar, sono le donne a dover spronare gli uomini. Che, tradotto in altri termini, fanno andare avanti la baracca.
Tutto questo, Krasinski lo racconta col garbo gentile che è quello dei suoi modi e del suo sguardo, con la misura dei gesti e delle parole, senza la paura di scoppiare a ridere in un momento o di tirare fuori il fazzoletto in un altro.
Se solo avesse avuto il coraggio di essere un poco più acido, approfondendo la storyline della ex fidanzata Mary Elizabeth Winstead, chiusa in maniera un po' brusca, The Hollars avrebbe potuto essere più interessante e complesso, più completo e forse meno edulcorato. Ma non era nelle intenzioni di Krasinski, non rientrava nel disegno di un film che voleva essere prima di tutto semplice e gradevole. E che, a esserlo, ci è riuscito, nonostante l'inspiegabile Anna Kendrick.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival