The Disciple: recensione del film indiano di Chaitanya Tamhane sulla musica tradizionale presentato in concorso a Venezia 77

04 settembre 2020
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Un giovane cresciuto con il culto della musica classica indiana e dei suoi interpreti cerca di diventare con enorme impegno un grande cantante lui stesso, seguendo gli insegnamenti del maestro in The Disciple di Chaitanya Tamhane, in concorso al Festival di Venezia 2020.

The Disciple: recensione del film indiano di Chaitanya Tamhane sulla musica tradizionale presentato in concorso a Venezia 77

L’applicazione e lo studio sono cruciali, ma se non c’è il talento è impossibile arrivare ai massimi livelli. Vale in tutti i campi, che sia nello sport o nella musica, come ben sa Sharad, che ha impegnato tutta la sua vita, fin da bambino appassionato spinto dal padre e poi da giovane allievo di un rigoroso maestro, all’arte del canto classico del nord dell’India, la tradizione hindustani. Siamo a Mumbai e Sharad non vuole trovarsi un lavoro per studiare a tempo perso, come fanno i suoi amici e come vorrebbe anche la nonna, preoccupata da esigenze materiali come il denaro per la sopravvivenza in vita. The Disciple, il discepolo, è l’evocativo titolo internazionale di questo film diretto da Chaitanya Tamhane, che ha avuto l’onore di rappresentare l’India in concorso a Venezia per la prima volta dopo Monsoon Wedding di Mira Nari, che vinse il Leone d’oro nel 2001. È il secondo film dell’autore dopo l’esordio processuale Court, apprezzato dalla critica in molti festival indipendenti.

The Disciple è il viaggio nella vita di un uomo diviso fra esigenza materiali e i suo sogno, la vera passione che lo spinge a esercitarsi. Il dubbio è uno dei grandi nemici di chi dovrebbe applicare un’agenda di rigoroso apprendimento ed esercizio per anni prima di potersi ritenere un artista di alto livello. Il dubbio di non essere all’altezza, che non valga la pena tutto questo sforzo, nonostante l’ascolto ossessivo di grandi voci tradizionali del passato, anche mentre si muove in moto per Mumbai. Una storia di formazione, quindi, non solo al pentagramma e alle corde vocali, ma anche alla vita, attraverso una consapevolezza rinnovata, l’accesso all’età matura che passa anche per i saggi insegnamenti dei suoi maestri, musicali, ma anche all’interno del suo nucleo famigliare.

Un percorso lento e meditato, come d’uso nella cultura indiana, anche quella cinematografica, in cui i gorgheggi dei concerti all’inizio appaiono a un pubblico occidentale, ovviamente poco abituato, come note di folklore curiose, e come tali appassionanti. Le due ore ottengono un duplice risultato: da una parte la fine dell’effetto novità e una certa stanchezza, dall’altra l’orecchio inizia timidamente ad abituarsi alle sonorità, a capire come mai il maestro critica un gorgheggio rispetto a un altro tappeto sonoro.

The Disciple si muove avanti e indietro nel tempo, creando un ritratto di Sharad sempre più completo, strato dopo strato, relazione dopo relazione. Ritmi meditativi, una storia semplice e lineare, che lavora sull’accumulazione e sull’emergere di un uomo che impara a conoscere e valutare l’artista, facendo emergere quei sentimenti e quell’anima necessaria per destreggiarsi con questa musica tradizionale, che deve venire dal cuore.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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