The Beast: la recensione del film di Bertrand Bonello con Léa Seydoux in concorso a Venezia 80

03 settembre 2023
2.5 di 5

Un futuro senza coinvolgimento affettivo, un amore nel corso di tre epoche storiche diverse. Bertrand Bonello si avventura nella fantascienza a suo modo in La bête presentato a Venezia. La recensione di Mauro Donzelli.

The Beast: la recensione del film di Bertrand Bonello con Léa Seydoux in concorso a Venezia 80

La tecnologia nemico pubblico e fonte di distopia. Curioso che un’arte come il cinema, nata in realtà come avanguardista rivoluzione tecnologica possa essere utilizzata per allarmi sulle derive del futuro. Il grande terrore è la perdita dell’umanità, una specie di spersonalizzazione che impedisce le emozioni, che sono la linfa vitale dell’esperienza da spettatori al cinema. Nel caso di La bête, The Beast, ritorno di Bertrand Bonello dopo l'apprezzato Coma, il punto di partenza, liberamente adattato, è una novella di Henry James che diventa occasione per raccontare una donna che, mentre in uno strano macchinario vagamente cronenberghiano si sottopone a una cura per dare una bella ripulita al suo DNA, perché in un futuro distante una ventina d’anni l’Intelligenza artificiale regna sovrana e per l’appunto le su menzionate emozioni sono considerate una minaccia.

Proprio per liberarsene di ogni incrostazione presente nel patrimonio genetico, tornerà indietro in vite passate dove si ricongiungerà a diverse versioni del suo grande amore, Louis, interpretato da George MacKay, mentre la protagonista, Gabrielle, è una sempre convincente Léa Seydoux. A proposito di emozioni, scalda il cuore e lo rende malinconico, a prescindere dall’IA, pensare, come ricorda una dedica finale, che era il compianto Gaspard Ulliel a dover interpretare i panni del protagonista, dopo essere stato per Bonello Yves Saint Laurent. La bête salta fra il 1910, oggi e il 2044 e in un perenne sfiorarsi della coppia, mentre viene invocato più volte, fino a diventare un vero macigno che pesa sulla serenità di tutti, la sensazione di una catastrofe imminente.

Un melodramma dalla temperatura diversa, più calda nel passato e decisamente fredda nell’oggi ormai dominato dall’algida cattivona tecnologia, in sequenze che ci portano a Los Angeles, in una villa sulle colline in cui Gabrielle vive tenendola d’occhio mentre i proprietari sono via e George appare come il tipico psicopatico pronto a compiere una strage, perché vergine e le donne (se la prende soprattutto con le bionde) non l’hanno mai considerato. Peggio, l’hanno illuso per poi lasciarlo andare. Non mancano video social per spargere il suo rancore e un cerchio si chiude sul rischio femminicidio e sulle stanze, rigorosamente tutte a vetri, in cui Gabriele vive. Siamo dalle parti di David Lynch, per atmosfere e costruzione non lineare di visioni, realtà e proiezioni dall’esterno.

Gabrielle è poi un’attrice, il che aumenta il gioco di proiezioni e sguardi, in cui Bonello conduce un gioco che sembra girare in tondo per molto tempo, prima di arrivare all’osso della questione nella parte finale, con un balletto fra i personaggi non proprio così originale nel trovare responsabilità in una contemporaneità asetticamente intesa. Il tutto dopo due ore e mezza di racconto, con una prima parte più soddisfacente, ambientata per lo più nella Parigi del 1910. Amore e melodramma qui, e due protagonisti di livello, sembrano in The Beast un po’ spaesati in un contesto di genere, futurismo sci-fi derivativo e un po’ qualunquista.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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