Terminator Salvation - la nostra recensione

03 giugno 2009

Sorprendete quarto capitolo della saga che torna alle origini e segue l’idea precisa del suo ideatore James Cameron: Terminator Salvation si fa cinema stringato, preciso, dritto al cuore dell’azione.

Terminator Salvation - la nostra recensione

Terminator Salvation - la nostra recensione

Giunta al quarto capitolo, la saga di Terminator arriva finalmente in quel futuro che negli episodi precedenti si era solamente intravisto, rappresentato come tempo oscuro e dominato dalle macchine ribelli. Basandosi su queste pochissime scene il regista McG e la troupe tecnica messa al suo servizio hanno elaborato un’ambientazione di enorme impatto visivo, un mondo devastato dalla guerra tra umani e cyborg, dove a prevalere sembra il metallo scuro, corroso e sporco di questi ultimi. Dopo una serie di visioni post-apocalittiche regalateci dal cinema in questi ultimi anni – da The Day After Tomorrow a Io sono leggenda, tanto per citare i più riusciti – Terminator Salvation continua a mostrarci con sorprendente efficacia un ambiente urbano ormai desolato, che provoca nello spettatore un senso di stupore ed insieme di inevitabile angoscia; merito di ciò va attribuito alla coerenza estetica con cui McG ha costruito il suo film, ruvido e polveroso ma mai ostentatamente “costruito” per essere tale. Se anche può sembrare assurdo, adoperare un vocabolo come “realistica” per descrivere l’ambientazione di questo film non è poi così lontano dalla verità.

Un altro punto a favore di Terminator Salvation sta nell’idea precisa di cinema che c’è dietro ad esso, che è più specificamente quella del “B-movie” con cui James Cameron aveva girato sia l’originale del 1984 che, può sembrare paradossale, il costoso sequel del 1991. La mancanza di budget del primo Terminator si era rivelata, soprattutto grazie alla maestria di Cameron, proprio l’arma vincente di quel film: pochissimi fronzoli, storia assolutamente centrata sul binomio azione/reazione, ritmo narrativo calibrato alla perfezione e conseguente messa in scena scarna, precisa, mai divagante. Lo stesso può essere detto per Terminator 2: il giorno del giudizio, che adoperava i notevolissimi effetti speciali del tempo al fine di metterli al servizio di una visione di cinema mai disgiunto dalle necessità narrative. Il terzo film diretto da Jonathan Mostow invece “sfoggiava” il suo spettacolo, si soffermava sull’imponenza degli F/X e trasformava troppo spesso in meraviglia fine a se stessa le numerose e lunghissime scene d’azione. Pur con un budget a disposizione di 200 milioni di dollari, McG compie invece una notevole inversione di marcia e torna all’idea di Cameron, puntando sull’efficacia degli snodi narrativi della sceneggiatura, fornendole momenti spettacolari nella loro funzionalità drammaturgica e quindi mai gratuiti.

La forza del film quindi sta nell’essere un ottimo prodotto d’intrattenimento che però non vuole imbonire il pubblico con facili clamori, ma gli fornisce un concentrato di azione, adrenalina ed effetti speciali di ottima fattura, tutti necessari allo sviluppo della trama. Tanto per intenderci, McG non dimentica che buon cinema di intrattenimento può essere non solo l’esplosione fragorosa o l’abuso di CGI, ma anche una bella scazzottata girata e montata con il giusto ritmo. Altro grosso merito sta nella scelta dei due protagonisti: Christian Bale continua nel suo lavoro sul personaggio, costruendo film dopo film un “tipo fisso” solido, stringato ed efficace. La vera sorpresa è però Sam Worthington, dotato di una non indifferente presenza scenica e capace di fornire di umanità virile il suo personaggio, sicuramente il più sfaccettato dell’intera storia. Non altrettanto precise purtroppo le costruzioni delle figure femminili, soprattutto quella di una Bryce Dallas Howard abbastanza abbandonata a sé stessa.

Sfruttando le fascinazioni non soltanto dei capitoli precedenti, ma anche di molto cinema di fantascienza del passato – un altro titolo che non può venire in mente è Atto di forza di Paul VerhoevenTerminator Salvation porta avanti con notevole aderenza l’universo filmico precisamente dedicato al cyborg assassino inventato da James Cameron. Nel far questo il film riprende gli input e le indicazioni del cineasta originario e li trasforma in una visione coerente e sinceramente spaventosa del conflitto umani/macchine. Da McG, autore in precedenza dei divertenti ma tutto sommato “ciarlieri” Charlie’s Angels, non ci saremmo onestamente aspettati un’operazione così precisa negli intenti e così coerente nel portarli a compimento.



  • Critico cinematografico
  • Corrispondente dagli Stati Uniti
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