Suspicious Minds e l'impalpabile fragilità del sentimento amoroso: la recensione del film di Emiliano Corapi
In concorso in Panorama Italia ad Alice nella città, il bel film Suspicious Minds di Emiliano Corapi, che prosegue la sua analisi del sentimento amoroso. La recensione di Daniela Catelli.
In un festival fin troppo traboccante di offerte come la Festa del cinema di Roma, affiancato dalla importante sezione di Alice nella città, è fin troppo facile che i titoli pregevoli si perdano. Magari per la collocazione oraria o la location decentrata, o la coincidenza con un film “di richiamo”, con la presenza di attori più noti al grande pubblico (cui non a caso è dedicata una sezione della manifestazione). E sarebbe un vero peccato se questo succedesse a un piccolo e prezioso film come Suspicious Minds, con cui il regista e sceneggiatore Emiliano Corapi prosegue, dopo L’amore a domicilio, la sua disamina dei rapporti di coppia. Lo fa con la solita ironia, ma mettendo a confronto stavolta due coppie di generazioni diverse: una composta da due ragazzi poco più che ventenni alle prese col primo amore, vissuto come assoluto, indistruttibile e superiore a tutti gli altri - “a 20 anni si è stupidi davvero, quante balle si ha in testa a quell’età”, cantava non a caso Francesco Guccini - e l’altra da due ultraquarantenni, uniti da un matrimonio ventennale, con due figli.
L’amore ha mille volti, tanta retorica, ma poche certezze. A volte a mandarlo in crisi basta poco, un piccolo incidente, un sospetto di infedeltà, un tarlo che comincia a rodere le proprie convinzioni e che, se non si è abbastanza forti, minaccia di rovinare tutto quel che si è costruito o che si sta provando a costruire. In questo caso un incidente in apparenza insignificante capita a due coppie in viaggio a Roma, che arrivano contemporaneamente nello stesso albergo. Fabrizio ed Emilie vengono dall’Olanda, dove risiedono, ma si sono conosciuti proprio nella capitale vent'anni prima e il loro è il primo viaggio senza i figli. Giulia e Daniele sono di Milano, sono molto innamorati e visitano la città per la prima volta, lei, volendo, anche con un po’ di quella sufficienza che viene dall'esuberanza giovanile. Non appena arrivati, però, Fabrizio e Giulia si trovano chiusi insieme in ascensore per un guasto, ne escono dopo un’ora e i rispettivi partner (e noi con loro) non sanno se è successo o meno qualcosa in quel tempo che non hanno vissuto. Da lì in poi le cose, per i quattro, non saranno più le stesse e forse qualcuno non avrà le spalle abbastanza forti per superare questo piccolo scherzo del destino. L’amore, forse, può resistere a tutto tranne che al dubbio, e in modo del tutto inatteso i protagonisti, stupiti di loro stessi, scoprono che andare in crisi è facilissimo e dunque forse le cose non erano perfette come sembravano, o tranquille come le volevano.
Suspicious Minds – titolo che deriva dalla bellissima ballad di Elvis Presley – ci racconta l’amore, e la sua resistenza, in diversi periodi della vita. In 88 essenziali minuti, con un uso sapiente del montaggio, la felicità e la naturalezza dei dialoghi e quattro interpreti calati nel ruolo come noi da spettatori ci caliamo nelle loro/nostre esperienze, esce fuori una storia universale, che potrebbe accadere ovunque e in cui tutti, in qualsiasi momento della nostra vita ci troviamo, possiamo riconoscerci. In fondo l’amore non ha regole se non quelle che noi stessi ci diamo: a volte pensiamo che la sincerità possa giustificare qualsiasi cosa, e magari è proprio il partner che ce lo fa credere, salvo poi rinfacciarcela. In qualche caso la promessa di fedeltà assoluta e reciproca non viene mai infranta, ma a che prezzo? E il tradimento mentale quanto conta rispetto a uno consumato? Se è vero che l’amore con la convivenza si trasforma, l’abitudine non è inevitabile, e reinventarsi e riscoprirsi, pur con i problemi quotidiani, i figli e lo stress della vita, è necessario.
Quel che conta è che davvero ognuno di noi, se ha mai amato, o se se lo ricorda, nella storia dei quattro protagonisti troverà un pezzo di sé e delle sue esperienze. Molto bella e per niente scontata la scelta delle location, che ha costretto Corapi a riscoprire Roma con gli occhi di un turista (c’è anche un’escursione a Bomarzo) e tornando al cast, se da tempo apprezziamo Francesco Colella, qua in un ruolo che gli permette di dipingere un personaggio ricco di sfumature, e conosciamo le capacità di Matteo Oscar Giuggioli, sono state per chi scrive una vera e piacevolissima scoperta la giovane Amanda Campana (anche in Diabolik, chi sei?), premiata per il ruolo, e l’olandese Thekla Reuten, di origini italiane da parte materna, che vanta una carriera internazionale ed è apparsa in film come In Bruges e Red Sparrow, ma che, a parte un’esperienza televisiva con Enzo Monteleone, per la prima volta lavora nel nostro paese.Tutti dimostrano una grande sintonia tra di loro, merito anche delle prove cui li ha sottoposti il regista, perché arrivassero già rodati sul set.
Suspicious Minds, aperto e chiuso dallo splendido brano dei Placebo, Begin the End (il cui testo non è casuale in relazione alla storia), dimostra che se c’è l’idea giusta, la capacità di svilupparla, di scrivere dialoghi naturali e di trovare gli interpreti perfetti capaci di dargli vita e sostanza, anche un piccolo film può arrivare al cuore, senza bisogno di budget imponenti e scene madri (“nei miei film ci sono solo scene figlie”, non diceva forse il grande Mario Monicelli?). E questo è il cinema italiano che veramente ci piace. Vi consigliamo di segnarvi il titolo e quando, speriamo presto, uscirà, fatevi un favore e trovate il tempo per vederlo.
- Saggista traduttrice e critico cinematografico
- Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità