Superpower: la recensione del documentario di Sean Penn su Zelensky e il conflitto ucraino presentato a Berlino
Sean Penn è in primo piano narratore e attivista di Superpower, documentario sull'attore e regista americano alle prese con Ucraina e Zelensky. Un grido indignato per una star sempre in primo piano nelle battaglie ideali. La recensione di Mauro Donzelli.
Le prime immagini mettono subito le cose in chiaro. Superpower è prima di tutto un documentario su Sean Penn che reagisce alla conoscenza con “la questione” Ucraina e con Volodymyr Zelensky, più che un film su questo personaggio improvvisamente catapultato, suo malgrado, al centro della scena politica e geopolitica mondiale. Niente che possa stupire più di tanto chi ha visto i recenti “lavori” di Penn, fra reportage e resoconto sugli slanci umanitari di un uomo in cerca di giuste cause. E quella ucraina, ovviamente, lo è. C’è un sincero afflato umanista dietro questo documentario, così come una semplificazione di questioni molto complesse fra ingenuità e banalizzazione.
Non c’era mai capitato, onestamente, di vedere un documentario in cui lo stesso regista, attore e anima totalizzante presente in ogni inquadratura, scelga di farsi intervistare per raccontare… proprio il documentario stesso che neanche abbiamo iniziato a vedere. Un corto circuito fra oggetto e soggetto della narrazione che dimostra come Superpower sia la personalizzazione di un’indignazione, un lungo reel in cui dare risalto alle (sacrosante e legittime) richieste di aiuti e armi all’occidente da parte del presidente ucraino, che utilizza per dare voce alle sue richieste la notorietà di Sean Penn, il quale qui è parte attiva, come attivista più che come autore.
Lo fa da patriota americano, spesso citando il comune slancio libertario connaturato al patrimonio genetico del suo come del popolo ucraino, arrivando a vedere Top Gun: Maverick insieme ad alcuni ucraini a Los Angeles, mettendoli poi in video chiamata con Miles Teller, in una confusione fra la guerra a Hollywood e quella reale che sarà stata anche ironica ma rimane significativa. Una semplificazione in cui dinamiche di enorme portata, spesso con radici secolari, sembrano poter essere risolte con un faccia a faccia, come un duello hollywoodiano fra eroe e antagonista, fra caccia militari nell’alto dei cieli. Paradossale che questa fede cieca nel conoscere la persona dal vivo, nel “leggere nei suoi occhi” lo accumuna al suo acerrimo nemico Trump, se non a presunte amicizie di politici di casa nostra.
Sean Penn e la sua squadra hanno dovuto rimettere le mani su questo documentario, diventato quindi il racconto di un progetto di film che, inizialmente, come svelano loro stessi, doveva avere al centro l’ascesa a leader politico ucraino di Volodymyr Zelensky, un attore comico di grande successo, anche in Russia, diventato celebre proprio come protagonista di una serie in cui interpretava un improbabile presidente ucraino. Come noto dal racconto dei media, nei giorni dell’inizio dell’invasione russa, Penn e la sua troupe si trovavano a Kiev, in attesa di un'udienza con il presidente, parlando con qualche analista politico e giornalista americano o locale, facendosi un’idea della crisi, fra sigarette e qualche bicchiere.
Superpower è il racconto di un innamoramento, come dice Sean Penn stesso, nei confronti di un popolo e, soprattutto, di un presidente “di una bellezza così profonda da essere senza pari”. La confusa indignazione di un uomo che vuole mostrare al mondo cosa stia accadendo da quelle parti. Non aiuta l’efficacia anche immediata del film, al di là di quella cinematografica, il fatto che Zelensky sia costantemente e in prima persona impegnato con grande coraggio nel sostenere in tutto il mondo, dai palcoscenici più inattesi, la propria giusta causa. Come dice a Penn, “se non sei pronto a vincere, non combattere, ma non possiamo volare con un’ala sola”. Il messaggio è sempre quello: la richiesta di armi per poter vincere la guerra. Perché Superpower? L’ultimissima scena ve lo svelerà.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito