Soul Kitchen, recensione del film di Fatih Akin Premio Speciale della Giuria a Venezia 2009

07 gennaio 2010
3.5 di 5

Dopo due film dai toni decisamente drammatici e qualche documentario, Fatih Akin applica tutta l'energia del suo cinema ad una commedia. Il suo nuovo film, che a Venezia ha ottenuto il Premio Speciale della Giuria, è simpatico e (fortunatamente) senza troppe pretese.

Soul Kitchen, recensione del film di Fatih Akin Premio Speciale della Giuria a Venezia 2009

Soul Kitchen - la recensione

Cibo, musica, amore, fratelli, errori, successi, problemi di denaro: in una parola, la vita. È intorno alla vita che si costruisce Soul Kitchen, il nuovo film del regista turco-tedesco Fatih Akin. Una vita dinamica e pulsante, che ha il suo cuore nel ristorante che dà il titolo al film: un locale ricavato da un ex magazzino alla periferia di Amburgo, gestito con grande passione ma senza particolari abilità in cucina da Zinos. Tra i tavoli del Soul Kitchen si muovono persone davvero care al protagonista: dai suoi amici e camerieri ai suoi clienti più affezionati, a suo fratello che ha appena ottenuto la libertà vigilata dal carcere dove era stato rinchiuso per furto. Ma la vita che pulsa dentro il ristorante esce per le strade della città anseatica, toccando personaggi come Nadine, la fidanzata di Zinos che si sta trasferendo in Cina e vorrebbe il ragazzo la seguisse nonostante il suo amore per il locale che gestisce, e Shayn cuoco geniale dal carattere bisbetico che finirà a lavorare nel locale. Perché dal Soul Kitchen tutto parte e al Soul Kitchen tutto ritorna, in un fibrillante caleidoscopio di situazioni, emozioni, avventure e risate cucinato da Akin come un fresco e speziato piatto misto.

A farla da padrone, in Soul Kitchen, sono i toni della commedia, finora non frequentati dall’autore de La sposa turca e di Ai confini del paradiso e di documentari come Crossing the Bridge. Ma tutta l’energia che Akin aveva saputo utilizzare e trasmettere in quei film torna qui intatta e perfettamente coerente con il caotico andirivieni di situazioni che il film offre allo spettatore: energia che si compone di gran ritmo, regia dinamica, larghissimo e sensato utilizzo della musica rock per fare da contrappunto e colonna sonora agli avvenimenti, tanto umorismo scanzonato (solo a tratti eccessivamente e teutonicamente fuori misura) ma anche un sincero calore umano nell’intessere relazioni e descrivere sentimenti.

Intendiamoci, Akin ha realizzato il suo film con ingredienti comunissimi e le storie che racconta non sono certo originali o esotiche. E la sua cucinazione è assai più assimilabile alla sincera convenzionalità di un’osteria dove si beve e si scherza mangiando di gusto che non alle fredde raffinatezze di una Nouvelle Cuisine o alle ricerche estreme della cucina molecolare di un Adrià. Ma è proprio per questo che lo si apprezza e lo si segue di gusto, per la sua schiettezza e la comprensibilissima mancanza di pretese che non siano quelle di realizzare un film ben fatto, abbondande e piacevole per il palato dello spettatore al quale non interessino diete o snobismi gastro-cinematografici.

Citazione di merito per la brigata di cucina capitata dal regista: dal simpatico protagonista e co-sceneggiatore Adam Bousdoukos al Birol Unel che interpreta Shayn, cuoco che pare perlomeno vagamente ispirato ad Anthony Bourdain, passando per la gradevole sorpresa Anna Bederke.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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