Sisu - L'immortale, la recensione: scansati Rambo, arriva Aatami

20 novembre 2024
3.5 di 5

Disponibile in streaming su Netflix questo brutale e sottilmente ironico film d'azione diretto dal regista di Trasporto eccezionale e di Big Game - Caccia al presidente. La recensione di Sisu - L'immortale di Federico Gironi.

Sisu - L'immortale, la recensione: scansati Rambo, arriva Aatami

Lapponia, 1944. Un signore non giovanissimo sta scavando quel terreno gelato e aspro in cerca d’oro. Lo trova. Sulla sua strada, però, poco dopo, trova anche una squadra di SS. Oramai sconfitti, i nazisti stanno lasciando il territorio finlandese facendo terra bruciata dietro di loro, seminando distruzione e morte. Com’è, come non è, i nazisti scoprono l’oro del signore non giovanissimo, e vorrebbero impadronirsese, ma non sanno che si sono andati a mettere contro la persona sbagliata. Perché il signore non giovanissimo, che si chiama Aatami, è un ex militare. Di più: una leggenda, un mito. Lo chiamano “l’Immortale”. È uno che farebbe nascondere John Rambo dietro le sottane della mamma, di fronte al quale John Wick è un dilettante allo sbaraglio.

Come andrà a finire questa storia, la storia di Sisu - L’immortale, è facile immaginarlo, ma stare a vedere come e in quali modi il vecchio Aatami farà fuori tutti quegli sporchi nazisti, dal più umile dei soldati semplici su su fino all’Obersturmführer interpretato da Aksel Hennie (ottimo attore norvegese) è un gran divertimento. D’altronde Jalmari Helander, sceneggiatore e regista del film, è uno che aveva già dimostrato di essere capace di divertire: recuperate Rare Exports: a Christmas Tale per credere, una rilettura in chiave horror-action dei film su Babbo Natale davvero sorprendente.
In quel film c’era anche Jorma Tommila, attore feticcio di Helander, qui nei panni di Aatami, uno che praticamente non dice una parola in tutto il film ma che fa tantissimo.
E qui, già andiamo a individuare uno dei punti chiave di Sisu: il suo essere puramente cinema lì dove per cinema andiamo a intendere “immagine in movimento”. Un cinema nel quale il regista finlandese crede profondamente.

Helander fa della Lapponia uno scenario chiaramente western, ci sparge sopra un po’ di crudeltà e sadismo nazisti e sceglie il più improbabile dei redentori per fare giustizia: un bastardo senza gloria che sì, le SS le stermina per sopravvivenza e interesse, ma anche perché - in fin dei conti - è la cosa giusta da fare. La violenza che mette in scena è estrema, fino al punto di diventare cartoonesca, ma al contrario di quello che ha fatto spesso Tarantino, e molti suoi assai meno degni emuli postmodernisti, l’ironia in Sisu non è praticamente mai esplicita, ma sempre implicita. Sono alla fine, quando Helander sembra quasi citare il Kubrick del Dottor Stranamore, e quando si arriva all’epilogo metropolitano del peregrinare di Aatami, la voglia di (far) sorridere arriva anche sulla superficie delle immagini.
Ma fino a quel momento Sisu è un film più ruvido che non ironico. E che prende il cinema (classico) molto sul serio, e che cita sì (John Ford come anche Mad Max, per esempio), ma sempre come omaggio a un immaginario, e non come vezzo o calco.

Coltelli che attraversano le tempie da parte a parte; cavalli e uomini smembrati dalle esplosioni in un campo minato; l’aria che sgorga dal collo di un nazista sgozzato nelle acque gelide di un fiume che funge la bombola improvvisata; ferite suturate col fil di ferro e cauterizzate con cerini e gasolio. E ovviamente nazisti uccisi come non ci fosse un domani, con anche una rivolta femminile sul finale. Telefonata ma giusta.
In Sisu - L’immortale c’è l’immagine in movimento, c’è il divertimento, c’è l’azione, c’è la violenza e e c’è la capacità di comporre sequenze e inquadrature in maniera non banale, omaggiando il cinema classico da un lato e rispettando le esigenze della contemporaneità dall’altro. Il tutto il 91, giustissimi minuti. Un equilibrio invidiabile. E che a Hollywood, e da noi (perché nel Grande Nord il trauma delle occupazioni naziste lo elaborano così, o con gli zombie di Dead Snow, e noi al massimo, se ci va bene, facciamo Freaks Out?), si dovrebbe invidiare di più, tanto da cercare di imitarlo.
E magari migliorarlo ancora.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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