Seduced and Abandoned - la recensione del film di James Toback

19 maggio 2013
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Nel 2012 James Toback era a Cannes. Era a Cannes assieme ad Alec Baldwin per cercare partner finanziari grazie ai quali riuscire a girare una sorta di libero adattamento di Ultimo tango a Parigi ambientato nell’Irak post-Saddam

Seduced and Abandoned - la recensione del film di James Toback

Nel 2012 James Toback era a Cannes. Era a Cannes assieme ad Alec Baldwin per cercare partner finanziari grazie ai quali riuscire a girare una sorta di libero adattamento di Ultimo tango a Parigi ambientato nell’Irak post-Saddam e interpretato dall’attore americano assieme a Neve Campbell. Messa così sembra quasi una barzelletta, ma non lo è. E già prima di partire alla volta della Croisette, il regista aveva deciso di realizzare una sorta di documentario su quello che sapeva bene essere una sorta di tentativo disperato.

Quel documentario è stato proiettato proprio a Cannes l’anno dopo. Un documentario che mescola il reportage delle tante riunioni tenutesi durante il festival (e il Mercato che gli si accompagna) a interviste a personaggi come Scorsese, Coppola, Bertolucci stesso, Ryan Gosling, James Caan, Jessica Chastain. Un documentario che in parte è celebrazione dell’evento cinematografico più importante del mondo, in parte ironica, smaliziata e dolente riflessione di quello che del cinema è al tempo stesso uno straordinario punto di forza e, soprattutto in questi anni, un cancro finora spesso benigno: il suo essere arte da un lato e prodotto industriale che deve portare profitto dall’altro.

Come film in sé, Seduced and Abandoned non è di certo eccezionale: spesso ripetitivo, vagamente sgangherato in maniera molto tobackiana, forse perfino troppo lungo nei suoi non eccessivi 100 minuti di durata. Ma Toback centra comunque il tema, mettendo il dito nella piaga sua, di tanti suoi colleghi, di tanti spettatori e del sistema cinema in generale.
Per chi non conoscesse come stanno le cose, c’è da rabbrividire sentendo parlare figure come Scorsese o Coppola di quando sia difficile trovare i soldi per girare un film nel contesto di un mondo, documentato, dove i produttori non leggono più nemmeno i copioni ma adottano come uno criterio di scelta la diretta spendibilità (o meglio, vendibilità) dei nomi degli attori coinvolti o delle location internazionali, o le potenzialità del marketing legato a titolo e personaggi.

Da qui, Toback approfitta per dare al finale del film una svolta quasi filosofica, legandosi a una frase di Norman Mailer per il quale il cinema conteneva in sé, per sua stessa natura, la morte.
Perché, sembra suggerire, l’equilibrio tra arte e industria oramai quasi completamente smarrito a vantaggio della seconda, in omaggio al profitto smodato, sembra aver trasformato il cancro del cinema un qualcosa di maligno e devastante, potenzialmente incurabile.
Le cure Toback non è certo di conoscerle, certo è che anche tramite l’operazione di Seduced and Abandoned sembra aver trovato il modo di far partire il film che sogna di realizzare con Baldwin: arrivando a conoscere il “nemico”, scegliendo i compromessi da accettare, aggirando gli ostacoli, battendo nuove strade.

Certo, male che vada potremo sempre annegare lo sguardo nei capolavori di ieri. Ma sarebbe un peccato: perché, con buona pace di Norman Mailer che ci legge la morte, per dirla con Bertolucci per chi lo ama, lo fa e lo vede il cinema è prima di tutto vita.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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