A Second Chance - la recensione del dramma di Susanne Bier

27 novembre 2014
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Il ritorno in patria per la regista daniese.

A Second Chance - la recensione del dramma di Susanne Bier

Non è un momento facile per la regista danese Susanne Bier. La vittoria dell’Oscar per il miglior film straniero con In un mondo migliore le ha permesso, infatti, di dirigere due attori molto quotati come Jennifer Lawrence e Bradley Cooper nel tribolato drammone in costume Una folle passione. Se Noi due sconosciuti, con Halle Berry e Benicio Del Toro, aveva avuto un certo seguito, Una folle passione, da poco uscito nelle nostre sale, è stato accolto molto freddamente dalla critica e dal pubblico nei paesi in cui è già uscito.

A questo punto sembrava che non ci fosse niente di meglio che il ritorno in patria, appoggiandosi al consolidato rapporto artistico con lo sceneggiatore Anders Thomas Jensen. In A Second Chance si trovano molto tematiche tipiche del cinema della Bier: un cinema etico e morale, in cui persone normali vengono poste di fronte a situazioni eccezionali, con lo scopo di spingere all’estremo la propria capacità di agire correttamente.

Andreas, interpretato da Nikolaj Coster-Waldau de "Il trono di spade", è un poliziotto dalla vita ordinata. È felicemente sposato e ha appena avuto un bambino, mentre il suo migliore amico e collega, Simon, l'attore feticcio della regista Ulrich Thomsen, ha distrutto il suo matrimonio e messo in pericolo la carriera. Due persone così diverse in cui il ruolo del salvatore è tutto di Andreas, che deve spesso andare a recuperare l’amico in qualche locale in cui si è messo nei guai per avere alzato troppo il gomito. Premesse fin troppo manichee per non presagire come lo schematismo geometrico dell’architetta Bier non finisca per colpire duramente l’ordine apparente delle cose.

Un caso di violenza domestica scoperto dai due poliziotti, con una coppia di tossici violenti incapaci di prendere cura degnamente del figlio di pochi mesi, scatenerà una serie di situazioni in cui l’etica del buon agire verrà sconvolta da questioni di vita o di morte. Il bene e il male sono sempre molto presenti nei film della Bier che però questa volta, più di altre, si fa prendere la mano dalla valenza metaforica della sua storia, insistendo su dettagli evitabili con una retorica del dolore più estetizzante che brutale. La storia meritava maggiore problematicità, più sfumature.

Forzature a piene mani, una freddezza assoluta e interpretazioni non all’altezza, impediscono poi il coinvolgimento emotivo in una vicenda che sarebbe pur costruita con quell’obiettivo. A Second Chance è purtroppo un’occasione mancata da parte della Bier di tornare a convincere, risultando piuttosto l’emersione di tutti i difetti presenti nel suo cinema precedente.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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