Saturday Fiction: la recensione del film con Gong Li in concorso al Festival di Venezia 2019
Lo spionaggio e il teatro. L'amore e il dovere. Il mélo e l'action.
Spionaggio. Menzogna. Messa in scena. Teatro. Il passaggio è breve, e chiarissimo.
E non sorprende allora che in questo Saturday Fiction la diva Gong Li sia una diva ma anche una spia, che torni dopo anni di assenza nella Shanghai del 1941 - quando era ancora sotto l’occupazione giapponese, ma ancora i settori inglesi e francesi della città erano rimasti liberi - per recitare nello spettacolo teatrale del regista che ama, ma anche per portare avanti una missione segreta e delicata. Né sorprende, nel contesto di un film che mescola i generi e i registri, che è anche un po’ mélo e un po’ noir, oltre che una spy story, si mescolino anche la storia dei personaggi e quella mondiale, con l’attacco di Pearl Harbor che incombe imminente.
La camera a mano mobilissima e nervosa di Lou Ye svela subito come realtà e finzione, teatro e vita siano mescolati in maniera indissolubile e difficilmente distinguibile. Fin dalla primissima scena. E fin dalla primissima scena Gong Li rivela al mondo che il suo carisma è intatto, che il suo sguardo spesso perso in sé stessa, e nel fuoricampo, è ancora irresistibilmente magnetico.
È lei il centro del film, è lei il suo cuore. È attorno a lei che girano tutti i personaggi, per amore o per contrasto: a lei, a un hotel di lusso di Shanghai, e al teatro dove deve andare in scena la pièce che ha lo stesso titolo del film.
Ed è lei che avrà in mano e in bocca la parola definitiva capace di portare a conclusione le vicende così come Lou Ye, e la storia, ce le hanno raccontate.
Il bianco e nero è elegante, mai troppo patinato, contrastato il giusto per fare rilevanza anche visiva alle contrapposizioni del film. Il dinamismo della macchina da presa restituisce il vortice dei personaggi e delle situazioni, in un contesto storico-politico assai complesso (ci sono i cinesi nazionalisti, i giapponesi, i collaborazionisti e gli stranieri) e dinamiche di non immediata decifrabilità.
Saturday Fiction avanza determinato, concedendosi giusto qualche temporeggiamento di troppo, qualche parentesi superflua, ma montando via via in maniera più dinamica, quasi action, per poi sciogliere la tensione e le vite nel melodramma e nel destino inevitabile, eppure a suo modo sorprendente.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival