Saltburn, recensione dell'opera seconda di Emerald Fennell

19 ottobre 2023
2.5 di 5

La regista di Una donna promettente, Emerald Fennell, cambia ambientazione per un altro colpo potenzialmente sotto la cintura. Al di là dell'effetto shock, va in effetti a segno? La nostra recensione.

Saltburn, recensione dell'opera seconda di Emerald Fennell

Appena arrivato a Oxford nel 2006, Oliver Quick (Barry Keoghan) vive solo per lo studio e ha difficoltà di adattamento, sofferente per un trascorso familiare traumatico: non volendo proprio essere lo "sfigato" della situazione, decide di diventare amico del popolare Felix Catton (Jacob Elordi), di famiglia altolocata. Felix lo invita per le vacanze nella sua tenuta, Saltburn, dove Oliver conosce la dissociata famiglia dell'amico. Cosa rimarrà di tutti, alla fine di questa lunga e imprevedibile estate?

La scelta più indovinata di Emerald Fennell, con Saltburn alla sua opera seconda da autrice dopo Una donna promettente (Oscar per la sceneggiatura), è un'intelligente finta iniziale, sul piano del registro narrativo: quello che sembra partire come un classico romanzo di formazione si rivela dopo il primo atto come qualcosa di radicalmente diverso. Il che sulla carta è una buona idea: i generi codificati spingono anche a una suddivisione rigida degli stessi esseri umani, che invece nascondono sfumature più complesse, e che non necessariamente rispondono agli stereotipi di una classe sociale di appartenenza. No, come il precedente della regista, Saltburn non è un film che vuole metterci a nostro agio.

Abbiamo tuttavia un dubbio, che pesa come un macigno sulla nostra visione di Saltburn: una volta che si sceglie di bombardare chi guarda con disagio puro, perversioni gore, fluidi corporei assortiti e cattiverie spaventose, esigendo il coraggio di mantenere lo sguardo sullo schermo, anche imbarazzato, si dovrebbe poi... premiare chi guarda. Con un lascito morale che attivi il dibattito, magari appunto potenziato da questi colpi sotto la cintura. In caso contrario, la ricerca ossessiva (e già manieristica?) di una sorta di "maledettismo cattivista" sembra girare un po' a vuoto. Quasi l'autrice si sentisse ormai costretta a colpire duro, dopo Una donna promettente, ma che le mancasse in questo caso la stessa urgenza etica, la stessa spinta ad agire in modo tempestivo per avviare un esame di coscienza collettivo.

Ecco, Saltburn non ci ha avviato nulla, mentre Una donna promettente ci risultò profondamente disturbante, perché le stesse parentesi grottesche che aveva (sottili, meno urlate) sottolineavano solo un orrore del reale pericolosamente vicino. C'è qualcosa di lontanissimo in Saltburn. Se il conflitto tra classi sociali è un tema sempiterno, l'ambientazione in una remota tenuta british di ricchi stralunati è una caricatura allucinata, uno stereotipo sovraccarico proprio in un film che sembrava dopo quel citato primo atto volersi liberare dai preconcetti. Anche il colpo di scena di Saltburn ci è sembrato assai prevedibile, proprio in virtù di una sgradevolezza compiaciuta che non poteva che puntare in un'unica direzione.

Questa fame di "shock a oltranza" (che forse colpirà più il pubblico americano di non cinefili) finisce peraltro per soffocare il più prezioso appiglio romantico e delicato della storia, il personaggio di Felix, un contraltare di Oliver via via seppellito da altri registri narrativi che inibiscono un coinvoglimento emotivo, privilegiando l'esercizio di stile. Emerald Fennell con Saltburn non vuole proprio far prigionieri, e se ne compiace con un cast complice: in primis Barry Keoghan, generoso in mente e corpo con la sua performance, ma anche una straniata Rosamund Pike e un come sempre incriticabile Richard E. Grant. Ma nel perseguire sfrontatamente questa libertà creativa di disturbare sempre e comunque, che potrebbe attirargli le simpatie di chi si sente circondato dal politicamente corretto, Saltburn è una montagna che partorisce un topolino: una riflessione risaputa sui rapporti di forza tra gli esseri umani, e sulle loro derive psicotiche. In due ore piene non prive di ridondanze. 



  • Giornalista specializzato in audiovisivi
  • Autore di "La stirpe di Topolino"
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