RRR: recensione dell'incredibile film indiano in streaming su Netflix
RRR potrebbe essere il film che apre gli occhi degli spettatori occidentali sulle straordinarie potenzialità del cinema indiano (in questo caso Tollywood, non Bollywood, ma è lo stesso). E il segreto sta in una fiducia nel cinema e nel sentimento che troppo spesso Hollywood sembra aver perso. Recensione di Federico Gironi.
C’è una scena, una in particolare secondo me, che tra le tante che potrebbero essere prese a esempio dà la dimostrazione palese e plateale della straordinaria fiducia che viene riposta nel cinema, e nei suoi spettatori, e negli effetti del cinema sugli spettatori, in RRR.
Una scena che arriva dopo circa un’ora e mezza di film (siamo a un’ora e ventisei minuti, secondo la timeline di Netflix) e che arriva dopo numerose altre scene capaci di lasciare a bocca aperta: le due con cui S. S. Rajamouli presenta i suoi protagonisti, Bheem (N. T. Rama Rao Jr.) e Raju (Ram Charan), e le loro straordinarie capacità fisiche e psicologiche; quella in cui li fa incontrare per la prima volta, in cui con tacito assenso collaborano per salvare un bambino in pericolo, facendo così nascere una bromance che ricorda quelle dei film hongkonghesi di John Woo (anche perché i due finiranno per scoprire di essere nemici); quella in cui, sempre con Bheem e Raju protagonisti, RRR si apre alla sua inevitabile natura di musical, sulle note della canzone che ha vinto il Golden Globe (“Naatu Naatu”) e assestando l’ennesimo, potente colpo all’arroganza coloniale britannica.
Quando arriva la scena di cui sto parlando, insomma, RRR ha già dimostrato di cosa sia capace, e ha già agganciato il nostro interesse, il nostro sguardo, sospeso la nostra incredulità.
Ma la bocca rimane aperta, con la mascella quasi dislocata, nel momento in cui Bheem fa irruzione nel palazzo del Governatore a Dehli per salvare Malli, la bambina dalla voce angelica sottratta alla sua famiglia e al suo villaggio dalla moglie del governatore, per purissimo capriccio. Perché in quella scena Bheem salta giù da un camion che ha sfontato cancelli e portoni, al ralenti, circondato dalle bestie della foresta che aveva catturato per quello scopo: tigri, leopardi, lupi, orsi, cervi.
Non è tanto la tecnica, o il portato metaforico dell’irruzione di ciò che proviene dalle foreste e dalle giungle indiane nel palazzo simbolo del colonialismo inglese, a lasciare stupiti, quanto la totale e indiscriminata, quasi dissennata fiducia che S. S. Rajamouli ha nella potenza delle sue immagini fantasmagoriche, fatte di esagerazioni iperumane e di computer grafica. Della capacità che ha di fare di ciò che altrove sarebbe stato un trionfo kitsch un momento di enorme spettacolo e di forte tensione emotiva.
Ciò che emerge fortissimo da RRR, dal suo mix esplosivo (tipico peraltro del cinema indiano, e spesso anche del cinema di altri paesi asiatici, pensiamo ancora alla grande tradizione di Hong Kong) di azione, melodramma, commedia e musical, dal suo chiaro afflato politico, dalla sua voglia di fare di Bheem e Raju delle riduzioni cinematografiche degli eroi raccontati nel Mahābhārata e nel Rāmāyaṇa, i poemi epici che stanno alla cultura indiana un po’ come Iliade e Odissea stanno alla cultura europea e occidentale, è una fiducia nel cinema che nasce dall’amore per il mezzo, per il dispositivo, per le sue potenzialità narrative, estetiche, poetiche.
Sarebbe facile, ma non ingiusto, né errato, sottolineare come questo amore - che si manifesta non solo nella spettacolarità e in tutto quello che ci siamo detti finora, ma anche nell’attenzione ai personaggi, ai loro sentimenti, ai loro caratteri - sia quello che differenzia maggiormente questo film da un qualsiasi grande blockbuster hollywoodiano, e in particolare dai cinecomic della Marvel o della DC.
Perché, inutile nasconderlo, in fondo Bheem e Raju sono, a modo loro, dei supereroi, che però agiscono in un contesto fisico, psicologico e cinematografico non solo a modo suo più realistico, che poco importa, ma soprattutto capace di una passione (anche e soprattutto sentimentale) che a Hollywood, ossessionati da questioni che col cinema non hanno più molto a che fare, sembra stiano dimenticando per sempre.
RRR è smisurato, massimalista, esagerato: e questo è il suo bello.
È un film che non ha paura di osare; che non teme il confronto con l’epica, né quello con il sentimento, facendosi quindi favola morale; che non si fa scrupolo di assaltare lo spettatore con suoni e immagini senza mai però stordirlo o considerarlo cretino.
E che tutto questo lo fa sempre con grande intelligenza e perizia cinematografica, evitando sempre le strizzate d’occhio postmoderne, le facili ironie, perché a quella cosa lì che racconta, RRR, ai suoi sentimenti e alle sue passioni, a quel cinema, crede davvero.
Risultando quindi, davvero, irresistibile, seducente, potente e coinvolgente.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival