Ritratto di mio padre - la recensione del film di Maria Sole Tognazzi
27 ottobre 2010
Dedicare un documentario ad un personaggio come Ugo Tognazzi era compito sicuramente necessario, ma anche complesso. Ancora di più, se a realizzare il film era la figlia del grande attore, Maria Sole.
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Ritratto di mio padre - la recensione del film di Maria Sole Tognazzi
Dedicare un documentario ad un personaggio come Ugo Tognazzi era compito sicuramente necessario, ma anche complesso. Ancora di più, se a realizzare il film era la figlia del grande attore, Maria Sole. Assemblando una gran quantità di materiale di repertorio della più disparata provenienza (dai filmini familiari ad immagini tratte da programmi televisivi o film che vedevano Tognazzi protagonista), e alternandole con interviste realizzare oggi ai figli, agli amici e ai colleghi di suo padre, Maria Sole si è lanciata nell’impresa che ha sintetizzato in un titolo tanto più azzeccato quanto più esplicito e semplice: Ritratto di mio padre.
Qualcuno ha sostenuto che questo ritratto sia sfocato, imperfetto, incapace di una nitida delineazione di un personaggio. Forse è vero: ed è proprio per questo che il film è così riuscito e convincente. Lungi dal voler entrare nel privato di un rapporto, appare evidente che il grande affetto di una figlia sia stato trasfuso nel documentario, soprattutto nelle parentesi puramente familiari. Ma soprattutto che al centro degli sforzi della regista ci sia stata l’intenzione di restituire tutta la complessità e la molteplicità di un attore, un personaggio, un uomo e un padre.
Nelle parole degli intervistati, la cifra ricorrente per ricordare il carattere e la personalità di Ugo Tognazzi è appunto quella di sottolinearne le sfaccettature, le apparenti contraddizioni, l’incapacità quasi esistenziale e anarchica di aderire ad una qualsiasi forma di chiesa, compresa quella dell’unitarietà del proprio io.
Ed ecco che quello raccontato da Ritratto di mio padre è un Ugo Tognazzi onesto, coerente e trasparente, eppure al tempo stesso enigmatico e imprevedibile. Di un uomo serio eppure serio riguardo a nulla, come ricorda Michel Piccoli, di qualcuno che affermava di se stesso “il mio equilibrio è il mio squilibrio”. Di un artista modesto eppure istrionico e coraggioso, seppur solo per il gusto di trasgredire, di proporre quello che gli altri non si aspettavano, di essere sornionamente controcorrente.
E se il ritratto di Maria Sole ha allora un andamento apparentemente confuso e imprevedibile, non è perché banalmente salta di palo in frasca, ma perché procede per suggestioni, digressioni, per parole chiave. Quasi per link ipertestuali, riuscendo in questo modo a restituire nella struttura del racconto l’unitaria e disordinata molteplicità di suo padre.
Una struttura nella quale lo stesso Ugo appare in prima persona all’inizio, come per presentarsi, defilandosi elegantemente e lasciando che a parlare siano gli altri col procedere del racconto. Per poi tornare, sul finale, con un paio di battute che sembrano invitare a non dargli tutta quell’importanza, quasi a smontare l’icona di se stesso. Per evitare qualsivoglia eccesso agiografico: ma non ce n’era bisogno.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival
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