Les miens: recensione del dramma francese di Roschdy Zem in concorso al Festival di Venezia

10 settembre 2022
2.5 di 5

I legami all'interno di una famiglia, le contraddizioni di adulti chiusi nelle loro vite, sono raccontati in Les miens, diretto oltre che interpretato da Roschdy Zem. La recensione di Mauro Donzelli del dramma presentato a Venezia.

Les miens: recensione del dramma francese di Roschdy Zem in concorso al Festival di Venezia

Una famiglia intorno a un tavolo, allungato all'eccesso per ospitare le generazioni diverse che si ritrovano per un pranzo domenicale o qualche festività. Roschdy Zem è stato preso come tanti autori in questi anni dal bisogno di raccontare personaggi e storie personali e mette in scena una famiglia simile alla sua, francese di origine marocchina, per una volta borghese e con problemi che vanno al di là della sussistenza o dell'integrazione problematica. Sono gli universali accidenti di esseri umani così vicini, spesso solo per ragioni di sangue e con anni di scarsa frequentazione. Ne I miei, Les miens, si mette in scena in prima persona, Zem, nei panni del fratello “famoso”, Ryad, ma anche quello ritenuto dagli altri meno premuroso e attento ai bisogni degli altri. Vive in un attico a vetri sulla Senna insieme alla sua fidanzata, anche se il sospetto universale, anche di noi spettatori, è che sia innamorato principalmente di sé stesso.

Moussa è il fratello buono, premuroso e molto orgoglioso di lui, del suo successo come conduttore di un programma sportivo. È anche il solo a difendere Ryad dalle critiche di egocentrismo. Una caduta accidentale, però, provoca un trauma cranico a Moussa, devastato in segreto da mesi perché la moglie, che vive a distanza in Marocco, non risponde più alle sue chiamate e di fatto, senza troppi complimenti, l’ha lasciato. L’incidente gli provoca una condizione di “sonnolenza permanente”, iniziando un lungo processo di rieducazione che lo porta attraverso uno sconvolgimento caratteriale. Inizia a parlare senza filtri, con inedita brutalità si esibisce in devastanti analisi, anche se lucide e in molti casi vere, che destabilizzano l’intera famiglia.

Artificio non proprio di cristallina credibilità, che stona con una vicenda raccontata con ricerca di realismo nel declinare le tante idiosincrasie di una di quelle famiglie del sud in cui ci si parla addosso, tutti hanno un opinione e si scontrano spesso e volentieri, a volume alto. Ma anche, come dice la fidanzata Ryad durante un litigio in cui dimostra anche lei di non poterne più del narciso compagno: “avrei voluto averla io una famiglia così”. Zem trattiene gli eccessi che rendevano irritante DNA - Le radici dell’amore, il precedente film diretto dall’attrice che interpreta la compagna di Ryad, Maiwenn, che ha scritto anche Les miens insieme a lui. Rimane il ritratto garbato e piuttosto ordinario di connessioni e incomprensioni tradizionali di questo genere. La portata più originale rimane senz’altro il potersi liberare delle etichette e rendere universale, a suo modo anche però banale, il racconto di una famiglia francese di origine magrebina

Una famiglia che non è poi così minacciosa, alza la voce e si ascolta poco, ma Zem smussa gli angoli ed è chiaramente guidato, come dice lui, dall’intento di realizzare “la mia storia d’amore con la mia gente”. Fortuna che gli attori sono di primo piano e regalano un bel grado di umanità. E dove mettere in scena questa conviviali se non a tavola, dove si apre e chiude questo viaggio con qualche turbolenza, ma un prevedibile atterraggio sicuro? Tanto vale ballarci sopra, che va sempre bene.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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