Ricky, la recensione del nuovo film di François Ozon
Anche se nei film di Ozon ci sono elementi che tornano - come l’amore per le donne e per il cinema, la critica feroce della famiglia e l’elaborazione del lutto - ognuno ha un suo tratto distintivo. Non fa eccezione Ricky, che arriva in Italia direttamente dall’ultimo Festival di Berlino, dove non a tutti è piaciuto.
Ricky - la recensione
La particolarità dei film di François Ozon consiste nella loro originalità. Non saranno tutti perfetti, ma ciascuno, a suo modo, cerca di svelare un segreto diverso dell'animo umano o di giocare, reinventandolo, con un genere o sottogenere cinematografico distinto. L'elemento più interessante di Ricky, che prende spunto da un racconto breve di Rose Tremain intitolato Moth ("Falena") è la trasformazione dello straordinario in ordinario, del soprannaturale in naturale.
Il frutto dell'amore di Lisa e Paco, entrambi operai di una fabbrica, è un bambino a cui spuntano due piccole ali che crescono di giorno in giorno fino a permettergli di volare. Un fatto insolito e disturbante che se, sulle prime, fa virare il film verso l'horror, richiamando alla memoria Rosemary's Baby di Polanski o anche Eraserhead di Lynch, diventa poi motivo di gioia, di orgoglio. Un orgoglio soprattutto materno, visto che nel film il padre ha un ruolo marginale. Il piccolo Ricky porta felicità, calore e divertimento in una famiglia che Ozon, per la prima volta nelle sua carriera, non si sente in dovere criticare, attaccare, dissacrare. Porto sicuro e non più claustrofobico inferno, nel caso di Ricky diventa positiva forse perché di bassa estrazione sociale. Una famiglia alto-borghese avrebbe sottoposto un bambino “diverso” a studi scientifici e all’esposizione mediatica.
Non Paco e Lisa, che per la loro “naiveté” attirano la nostra simpatia proprio come certi personaggi dei film dei Dardenne o di Ken Loach. La loro purezza, però, va di pari passo con una forte carnalità, con l’istinto che, scevro di sovrastrutture, determina le loro decisioni. Sono anima, ma anche corpo - e il corpo, nei film di Ozon, è sempre prepotentemente in primo piano: qui è il ventre della madre che cresce, la schiena del bambino macchiata di sangue o la rassicurante pancia del padre. E rassicurante è anche tutta la seconda parte del film, che scongiurata l’incursione del perturbante, si conferma come favola surreale.
E’ difficile dare un’interpretazione a Ricky, perché la scena iniziale mostra Lisa che discute con un’assistente sociale a cui confessa di volersi liberare di un bambino eccessivamente vivace. Chi è questo bambino? E’ Ricky? Oppure il figlio con le ali è stato soltanto il sogno di una madre infelice? Non lo sapremo mai, e nemmeno chi ha narrato per immagini questa storia lo sa. Ozon si limita a raccontare una vicenda bizzarra, che lo spettatore con una forte spiritualità leggerà come cronaca della discesa sulla Terra di un angelo, mentre chi è appassionato di film sociali vedrà come un tentativo di riscattare i meno fortunati, quei poveri a cui De Sica regalava il Paradiso in Miracolo a Milano.
In fondo è questo il bello del cinema: creare l’incanto senza svelarne il mistero.
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali