Reflet dans un diamant mort: la recensione del film con Fabio Testi in concorso a Berlino
Un omaggio al cinema di genere italiano fra rapine di gioielli e il lusso della Costa Azzurra, Fabio Testi guarda ad anni di carriera e di avventure sul filo della legalità in Reflet dans un diamant mort di Hélène Cattet e Bruno Forzani. La recensione di Mauro Donzelli dalla Berlinale.
Si muove tutto così velocemente, come la luce che si insinua in tante superfici riflettenti quante sono le spensierati maniere di uccidere qualcuno, nel nuovo giocoso e divertito omaggio al cinema italiano di genere di Hélène Cattet e Bruno Forzani, Reflet dans un diamant mort. Una sequela di immagini provenienti per direttissima dagli anni 60, condensati e spremuti per istigare memorie di un immaginario in maschera, quella di Diabolik, a dire la principale, qui diventato un ardito Serpentik. Il punto di partenza è un’immagine classica, quella di un uomo in riva al mare, che si gusta un bicchiere mentre osserva una bella donna che si bagna in spiaggia. Il tutto con una patina sgranata che regala il sapore inconfondibile dei colori di quegli anni.
L’uomo in questione è un settantenne, già frequentatore di quell’epoca iconica come attore del nostro cinema, Fabio Testi, che dal movimento osservato in hotel, specie nella camera accanto alla sua, innesca un percorso di viaggio indietro nella memoria di una vita e carriera selvaggia nella Costa Azzurra dei Sessanta. Un riavvolgere del nastro del tempo che ci porta a uno slancio dinamico per il futuro rappresentato perfino dal nucleare, lasciata alle spalle la paura di un conflitto apocalittico predominante nel decennio precedente. Energia per tutti, uomini e donne, con alle porte una rivoluzione digitale che promette e minaccia di rimescolare le carte del potere economico e finanziario.
Tutto è di nuovo in gioco, mentre il riflesso principale rimane quello più ambito, quello del diamante. Uno dei tanti simboli di un mondo, di un jet set lussureggiante e decadente, fra una roulette in movimento e il gioco (d’azzardo) bello fino a che dura per sempre, tute e maschere in latex, bellezze mozzafiato pelle in vista, meglio se da strappare uno strato dopo l’altro. Il sesso è mortale, le armi bianche e da taglio, al massimo qualche concessione a una pistola con silenziatore. Acerrimi nemici e doppio gioco, in un mondo in cui i tacchi a spillo si prestano a un utilizzo tanto originale quanto mortale, e niente è come appare.
Reflet dans un diamant mort è un’esperienza da vivere con un martini ideale in mano, un fotogramma dopo l’altro in cui la luce illumina un mondo mai esistito ma spesso esibito, quello di un immaginario sospeso fra sogno e cinema, in cui gli eroi e gli antieroi non si distinguevano e la morte era un’esplosione di sangue e di variazioni splatter, ma senza conseguenze. Altro che Bond, James Bond, qui il ritmo non prevede cali, e le pupille di noi spettatori non possono quietarsi un attimo, mentre quelle di più personaggi finiscono martoriate come neanche la cura Ludovico di kubrickiana memoria. È un bombardamento e non ci sono bunker, né occhiali da sole per proteggersi dai riflessi. Sappiatelo, è riservato ad appassionati, per gli altri il gioco potrebbe provocare un effetto saturazione. E non vedrete più delle belle unghie lunghe e colorate allo stesso modo. Fatevelo dire.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito