Pride - la nostra recensione del film
Una sorprendente storia vera diventa un film coinvolgente e divertente con un cast eccezionale.
Nel 1984, in Inghilterra, il governo conservatore guidato dalla Lady di Ferro Margaret Thatcher annuncia la chiusura di una miniera di carbone nello Yorkshire, primo atto di una serie di smantellamenti di siti minerari che porteranno alla perdita di 20.000 posti di lavoro. Arthur Cargill, capo del sindacato della categoria, proclama uno sciopero che durerà, in condizione durissime, per un anno intero. I lavoratori delle miniere di tutto il paese, affamati e in lotta per i propri diritti, diventano il nemico pubblico numero uno, vengono dipinti come criminali e attaccati con violenza dalla polizia (con 2 morti e moltissimi feriti durante le manifestazioni). Per indebolire ulteriormente la protesta vengono anche sequestrati i fondi del sindacato, rendendo impossibili donazioni dirette. Solo un'altra minoranza, quella omosessuale, la cui storia è colma di violenze e discriminazioni, si interroga su quello che sta accadendo. E’ per questo che un gruppo di giovani attivisti gay londinesi, organizzati dal ventiduenne Mark Ashford e facenti capo alla libreria Gay's The World, si ribattezza LGSM (“Lesbiche e gay a sostegno dei minatori”) e decide di mostrare concretamente la propria solidarietà alla causa dei lavoratori delle miniere. Grazie alla passione del gruppo vengono raccolti soldi e beni di prima necessità. Resta il problema di farli accettare ai sindacati e ai minatori, abitanti di zone rurali, con i loro bravi pregiudizi sull’omosessualità. Ma per fortuna i membri del LGSM incontrano Dai Donovan, sindacalista dei minatori di Dulais nel Galles, che va a trovarli e dà il via a una conoscenza reciproca e un’unione senza precedenti in tema di diritti condivisi.
E’ questa la storia vera raccontata nel film Pride, una storia di trent’anni fa poco conosciuta anche in Inghilterra, se non tra chi quelle battaglie le ha combattute e ha spesso continuato a farlo, in nome di chi non ha voce in una società sempre più indifferente alla sofferenza altrui. E’ una storia bellissima che ha dato vita ad un film altrettanto bello, mai ricattatorio, emozionante senza essere sdolcinato, in cui anche il momento più smaccatamente buonista è stemperato dall'autoironia. Certo, nell’Inghilterra degli anni Ottanta avere di fronte un leader terribile come (l’ingiustamente rivalutata) Margaret Thatcher era uno stimolo alla coalizione di forze ed esperienze sulla carta agli antipodi.
Quando sai chi ti fa del male, insomma, è più facile creare un'alleanza coi nemici del tuo nemico. Oggi che il male è diffuso in mille rivoli nella politica mafiosa e nello sfruttamento dei grandi poteri economici, i movimenti si sfogano spesso soltanto nella realtà virtuale ed è più difficile scendere in piazza contro un nemico proteiforme e irriconoscibile come individuo. Un film come Pride, coi suoi personaggi reali e le sue storie vere, esprime anche una necessità oggi dimenticata: quella, come esseri umani, di essere solidali con chi ha meno di noi, con chi soffre per colpe non sue. Dovrebbe essere un dovere e venire naturale a tutti, e in più ha anche un vantaggio: il giorno in cui avremo bisogno degli altri, gli altri risponderanno.
Sono tante le lezioni che Pride impartisce sotto le spoglie di una riuscitissima commedia, con la sola forza della storia che racconta: se ti offendono prendi l’insulto, adottalo e fanne la tua bandiera. E’ così che quella che i tabloid definirono un incontro tra “Pits – pozzi – e perverts - pervertiti” diventa il nome di un concerto in cui si esibiscono i Bronski Beat di Jimmy Sommerville e che frutta alla causa l’equivalente di 20.000 sterline odierne. L’orgoglio di sfidare un nemico tanto più grande motiva i militanti, che superano se stessi in una gara di generosità che verrà alla fine ripagata. Tutto questo, Pride lo fa senza mettersi in cattedra, ma raccontando - sulla base di un copione praticamente perfetto e della passione di attori etero e gay, famosi e sconosciuti - la storia di due mondi in apparente rotta di collisione, che conoscendosi si arricchiscono a vicenda.
Non finì bene, dopo un anno, la lotta dei minatori, ma nel 1985 le unioni sindacali della categoria marciarono in prima fila al Gay Pride, in un’unione senza precedenti tra lavoratori e persone in lotta per la parità di diritti, proprio prima che il cosiddetto riflusso - accennato nel personaggio che vuole una festa e non un corteo – spazzasse via il sogno. Di più, della storia e dei personaggi, non vi diciamo, per lasciarvi il gusto di scoprirli da soli. Il bello di Pride è proprio quello di essere una storia umana e universale rivolta a tutti, di quelle che ti riconciliano col mondo e ti fanno pensare che in fondo nell’essere umano c’è anche del buono. Lo consigliamo come film di Natale: fatevi un regalo e andatelo a vedere.
Se poi riuscite a restare impassibili quando le donne cantano “Vogliamo il pane e le rose”, a non divertirvi durante il ballo scatenato di Dominic West sulle note disco di Shame Shame Shame, a non ridere di gusto alle battute di un copione ricco e brillante e a non emozionarvi di fronte alle performance di un cast corale in cui isolare un attore farebbe torto a tutti gli altri e non siete Frank Underwood, allora Margaret Thatcher vi sarebbe decisamente piaciuta.
- Saggista traduttrice e critico cinematografico
- Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità