Pompei: la recensione del film di Paul W. S. Anderson
Un nuovo disaster movie sulla più celebre delle catastrofi naturali nella storia dell'umanità.
Nel 79 dopo Cristo Pompei era un attivo porto internazionale e una delle città più fiorenti dell'Impero Romano, nonostante un terremoto che l'aveva colpita qualche anno prima. In un solo giorno (il 24 agosto secondo Plinio il Giovane o due mesi dopo, in base a recenti ritrovamenti) tutta la città, assieme alla limitrofa Ercolano, venne spazzata via, sepolta sotto una coltre di cenere. Il Vesuvio letteralmente esplose, con la forza di un ordigno nucleare, trasformando le fertili colline e le splendide ville edificate sulle sue pendici in un brullo paesaggio infernale.
Da sempre questa storia, di cui abbiamo potuto conoscere i protagonisti grazie ai calchi dei corpi sorpresi nella vita quotidiana da una morte atroce e improvvisa e agli scavi che nell'Ottocento hanno riportato alla luce le rovine (oggi a rischio di un secondo disastro), affascina scrittori e cineasti. Dagli albori del cinema la vicenda è stata raccontata numerose volte, sulla scorta del romanzo di Edward George Bulwer-Lytton (è sua l'espressione tanto cara a Snoopy “Era una notte buia e tempestosa”) “Gli ultimi giorni di Pompei”, pubblicato nel 1834.
La trasposizione più celebre tra quelle sonore è quella del 1959 ad opera di Mario Bonnard (cui subentrò Sergio Leone in seguito a una malattia), con Steve Reeves come protagonista. Pochi mesi fa ha riscosso un grande successo il documentario/ricostruzione a cura del British Museum sulla vita e la morte della città campana. Oggi tocca a un altro inglese, Paul W.S. Anderson, proporne una nuova versione, che riprende un vecchio progetto di Roman Polanski e in seguito di Ridley Scott che avrebbe dovuto realizzarne una serie tv.
Del romanzo di Thomas Harris da cui erano tratte le prime sceneggiature si è persa ogni traccia e questa è una storia del tutto nuova tra i cui coautori figura anche il prestigioso nome di Julian Fellowes. Anderson si affida in gran parte al 3D e ad un cast interessante, che vede un mix di star del grande e del piccolo schermo: Kit Harington dal Trono di spade, Sasha Roiz di Grimm e Adewale Akinnuoye-Agbaje di Oz e Lost che affiancano Kiefer Sutherland – che fa da collante tra i due media - Carrie-Anne Moss e quello straordinario caratterista di film e tv che è Jared Harris.
Come nei precedenti film ambientati a Pompei, anche questo mette al centro una storia d'amore “impossibile”, qui quella tra un giovane schiavo celta, unico sopravvissuto di una tribù massacrata dai romani e trasformato in gladiatore, e una giovane patrizia pompeiana. La fine, purtroppo, è nota. Il regista cerca di resuscitare in un sol colpo due generi: il peplum e il disaster movie, riuscendoci parzialmente. Gli attori sono efficaci, i combattimenti ben fatti, Kit Harington per la gioia delle sue fan sfoggia un fisico perfetto e c'è qualche guizzo di modernità non esasperata nella figura della ragazza, indipendente, sicura di sé e anticonformista, come ben si addiceva a una donna colta nella società romana. I cattivi sono più di maniera ma si vede che Sutherland si diverte un mondo.
Cosa c'è allora che non funziona in questo film? Forse il fatto che, più della storia - semplice come lo erano quelle dei vecchi "sandaloni" - ci interessa la catastrofe finale. Che puntualmente arriva, ma non riesce a stupirci. Forse lo spettatore adulto è ormai troppo smaliziato per restare a bocca aperta di fronte a certe scene: i creativi degli effetti speciali partono sconfitti in partenza in questo caso, perché, per quanta perizia possano impiegare nel ricrearlo, sanno niente potrà mai eguagliare l'orrore di un cataclisma di quelle dimensioni. O forse, semplicemente, certi generi appartengono ormai all'archelogia del cinema, e ci vuol altro che una tempesta di lapilli e cenere per riportarli in vita.
- Saggista traduttrice e critico cinematografico
- Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità