Polite Society - Operazione matrimonio: la recensione del film
Un po' commedia, un po' (quasi...) horror, un po' film di arti marziali. Nida Manzoor mescola carte e generi usa la sua attidine punk per raccontare una storia di sorellanza che ribalta gli stereotipi austeniani e finisce con il convincere e conquistare. La recensione di Polite Society di Federico Gironi.
C’è qualcosa di strano, che si percepisce, all’inizio di Polite Society. Qualcosa che non ha a che vedere con la storia che viene raccontata, o con i personaggi che la popolano, ma con quello che possiamo definire lo stile del film. La sua regia, forse, il modo di muovere la macchina da presa, di montare, di fotografare.
Qualcosa di ruvido, di vagamente respingente e che però, al tempo stesso, suscita una reazione di curiosità. Curiosità per capire da dove venga, questa sensazione di ruvidità, a volte di approssimazione, nonostante tutto nel complesso fili piuttosto liscio. E perché, Nida Manzoor abbia scelto questo stile.
Poi, forse per via di qualche nota musicale, o forse perché il cervello da solo è andato a recuperare alcune informazioni sulla regista, capisci che, nonostante possa sembrare da molti punti di vista un paradosso, Polite Society è un film che nasconde un’anima punk. Punk come le protagoniste di We Are Lady Parts, la serie inglese che alla Manzoor ha dato popolarità e aperto le porte del mondo del cinema.
Poi vai avanti, e capisci anche che tutto sommato quest’anima punk di Polite Society non sta solo nella sua forma, ma anche in quello che racconta.
Quella del film d’esordio di Nida Manzoor è una storia tutta al femminile. È una storia di ragazze, di giovani donne, di donne meno giovani. Una storia di sorellanza, intesa sia nel senso del rapporto tra due sorelle, sia di comunione femminile.
Lo spunto iniziale è noto: Ria, sorella minore appassionata di arti marziali e col sogno di diventare una stuntwoman, non si capacità del fatto che Lena, sorella maggiore e migliore amica, rinunci alle sue ambizioni di artista e si rifugi tra le braccia di quello che sembra essere un fidanzato perfetto. Per Ria quel matrimonio non s’ha da fare, perché Lena è vittima di un lavaggio del cervello, o di una qualche occulta cospirazione: e quindi, con l’aiuto di due inseparabili compagne di scuola, cercherà di scoprire la verità, e mandare a monte le nozze. Con metodi goffi, bizzarri, per noi spettatori spassosi, e spesso e volentieri anche piuttosto irriverenti.
Ora. Un film più tradizionale (più vetero-austeniano, forse...) avrebbe forse fatto di Ria il personaggio un po’ comico che in fin dei conti si deve arrendere al fatto che le persone cambino, che crescano, che le sorelle lascino la famiglia e certe velleità tardo-adolscenziali per abbracciare l’amore e fare i conti con le responsabilità della vita. Avrebbe fatto sì che, dopo i divertenti e imbarazzanti tentativi di Ria di ostacolare il matrimonio di Lena, la ragazza avrebbe capito, e magari fatto perfino da testimone alla sposa, e così vissero tutti felici e contenti.
Polite Society, invece, fa scelte radicalmente opposte, e il mondo di Jane Austen lo attualizza e lo mette sottosopra. Mostra che Ria non è fuori di testa come può apparire (e appare) agli occhi di chi si comporta “normalmente”, ovvero seguendo le regole e le convenzioni della buona e educata società borghese. Ria, insomma, ha ben ragione, a pensare e a dire che c’è qualcosa di strano, nella svolta di Lena, e nel suo irreprensibile, gentile, atletico futuro marito. Per non parlare della suocera in pectore.
E allora, visto il modo in cui Manzoor fa progredire la sua storia, viene quasi da pensare che, se la citazione esplicita di Stepford Wives in una battuta non è di certo casuale, non lo sia nemmeno il fatto che il titolo del film riecheggi il Society di Brian Yuzna, pietra miliare del body horror di fine anni Ottanta.
E però, sotto il quasi-horror, dietro alle arti marziali un po’ goffe e molto da ridere (la Manzoor è grande fan di Jackie Chan), dietro alla pur blanda critica sociale, Polite Society è e rimane un film su due sorelle e sul loro legame, un legame che chiunque abbia una sorella, o un fratello, può comprendere bene. Due sorelle, interpretate benissimo da Priya Kansara (Ria) e Ritu Arya (Lena), accompagnate da un cast di contorno tutto da ridere.
Un film su due sorelle, i loro sogni, e i sogni infranti di certe donne del passato, che si sono tramutati in mostri della mente, per tanto dolorosa è stata quella rottura. Due sorelle, un hamburger da addentare, e una vita tutta da vivere. Con irriverenza punk.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival