Plaire, aimer et courir vite: recensione del film di Christophe Honoré in concorso a Cannes 2018
Vincent Lacoste e Pierre Deladonchamps in un dramma non privo di toni da commedia.
Negli ultimi tempi è diventato quasi un nuovo genere del cinema francese, il racconto degli anni Novanta alle prese con l’epidemia dell’AIDS che sconvolse e cambiò per sempre la comunità gay transalpina. Dopo 120 battiti al minuto, ne arriva ora un’altra declinazione, sicuramente molto diversa e intellettuale, pur non meno sentita. Anche perché con Plaire, aimer et courir vite, Christophe Honoré ha realizzato il suo film più personale e sentito, in cui scava nella sua memoria presentando Arthur, studente bretone (come lui) alle prese con i suoi studi a Rennes e le prime esperienze sessuali con uomini, sempre più spinto verso una bisessualità libera e istintiva. La sua vita cambia radicalmente in seguito all’incontro con lo scrittore Jacques, parigino nel midollo, che vive con il giovanissimo figlio. Due interpreti magnifici: un Vincent Lacoste in costante crescita, in un ruolo ben più drammatico del solito, e Pierre Deladonchamps, una conferma ormai al massimo livello dopo Lo sconosciuto del lago e Le fils de Jean.
Il film propone, a specchio, la duplice storia dei due: per il giovane è un percorso di formazione molto classica, fra buone letture, canzoni ascoltate con il walkman e un’educazione sentimentale e sessuale da parte del più maturo dei due, il quale è consapevole di dover correre forte, per citare il titolo, visto che la malattia non gli lascia molto tempo. A proposito di titolo, piacere e amare sono le due altre pulsioni identificate, che sono sì presenti come vero motore delle vite dei personaggi, ma nascondono anche una certa ritrosia intellettualoide, specie nella prima parte, in cui si ritrovano alcuni tratti caratteristici del cinema precedente di Honoré. Più che un formalismo supponente, che altre volte si frapponevano all’esperienza dello spettatore finendo per irritarlo, qui sono manifestate sotto forma di citazioni letterarie ricercate, di solipsismi che sembrano più delle timidezze infantili, incapaci di nascondere una sincerità di fondo sempre più brutale con l’andare avanti della storia.
In 120 battiti al minuto la malattia era vissuta collettivamente dai protagonisti, cercando di trarne qualcosa di positivo, dei cambiamenti attraverso la militanza in Act Up, citata non casualmente con distacco da Jacques, che sceglie di chiudersi in se stesso e nei suoi affetti, con attorno la famiglia che si è scelto e creato negli anni; non casualmente quella biologica, i genitori, vengono solo citati e mai visti. Plaire, aimer et courir vite è la storia di un primo e di un ultimo amore, a unire questi uomini così distanti nelle tappe della vita un amore totalizzante, sincero, visto alternativamente col rimpianto e con la speranza impossibile di tramutarlo in un futuro. Honoré scava nella pelle e nei corpi, ne mostra i lividi e i segni del tempo. Il sesso è una costante continuamente evocata, ma poi quando ci si tocca lo si fa per stringersi per un abbraccio fino a schiarire la pelle, o per proteggersi con una carezza o fondersi in posizione fetale.
Nel proporre la sua sfida contro il tempo, sempre rigorosa e asciutta, il film racconta anche di due mondi diversi: la provincia bretone e Parigi, due luoghi testimoni spesso di momenti diversi della vita. Per Arthur, come tanti studenti prima e dopo di lui, giunge il momento di abbandonare il rifugio domestico, gli amici e gli amori di sempre, e arrischiarsi a superare la linea d’ombra, verso la metropoli, sogno di una vita adulta piena; che sia come scrittore, regista, o chissà cos’altro Arthur non lo sa e non gli interessa. L’importante è avere coraggio, sdraiarsi nudi per abbracciare un cavaliere romantico che la sua epica l’ha già vissuta e che è pronto al sacrificio definitivo dell’eroe.
Il regista ama così tanto i suoi personaggi che sembra aver difficoltà a lasciarli andare, le conseguenze sono senz’altro alcune lunghezze di troppo, ampiamente ripagate, però, da una passione trascinante e schiva, da una carnalità raramente così vera eppure senza forzature esibizionistiche. Amore e morte si abbracciano in una scena simbolo, in cui Jacques in vasca sogna un suo amante morto per la malattia, in un viaggio tattile fra epidermide e peli, vene in vista e lividi, in sostanza fra sesso e il risveglio brutale della morte.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito