Piggy: la recensione dell'acclamato horror spagnolo
Diretto da Carlota Pereda arriva anche nelle nostre sale il 20 luglio Piggy, l'acclamato horror splatter spagnolo che parte da una storia di bullismo. La recensione di Daniela Catelli.
L’adolescenza può essere orribile. Questa frase, pronunciata dalla regista di Piggy, Carlota Pereda, possiamo forse condividerla tutti, a meno che non siamo stati dall’altra parte, quella dei bulli. Un’età infelice, in cui non siamo ancora abbastanza sicuri di noi stessi e delle nostre potenzialità per saperci difendere dall’ostilità di un mondo capace di graffiarti l’anima a sangue. Poi si cresce e spesso si scopre di avere le risorse per superare traumi e cattiverie, anche se qualcuno non è altrettanto fortunato. Alla base del lungometraggio d’esordio di questa brava regista spagnola, che pur avendo una forte componente horror mescola diversi generi con una maturità insolita per un’opera prima, c’è proprio la sofferenza di una ragazza introversa, Sara, bullizzata e insultata con una crudeltà assurda dai coetanei perché troppo grassa. La chiamano Cerdita, maialina, visto che per di più i suoi sono i macellai del paese, che non la capiscono (un altro classico dell’età) e ignorano i suoi tormenti.
Anche perché Sara, per isolarsi dal mondo, si immerge nella musica coprendosi la testa con delle cuffie oversize, che non sono però sufficienti a tenere fuori il male. In un’estate caldissima, in un paesino rurale dell’Estremadura, l’unico sollievo è fare il bagno in una grande piscina all’aperto, frequentata da tutti i ragazzi del luogo. Anche se Sara cerca di andarci quando gli altri non ci sono, viene comunque trovata e derisa da tre ragazze, inclusa quella che pensava le fosse amica. Ma c’è anche un uomo che ha osservato la scena e che a un certo punto, in un crescendo di disperazione per la povera ragazza, entra in azione, sequestrando le sue persecutrici e aspettandola lungo la strada, come per farle un regalo. Dal suo furgone loro le chiedono disperatamente aiuto, ma quale sarà la scelta di Sara di fronte a questo dono oscuro, che promette di vendicarla di tutte le sue sofferenze? Cederà alla corte del serial killer, che le risveglia pulsioni erotiche, o interverrà per salvare le sue nemiche?
Da qui si sviluppa la storia di Piggy, che non a caso nasce da un cortometraggio della regista con la stessa interprete, la straordinaria Laura Galàn (trentenne all’epoca delle riprese svolte in piena pandemia, ma credibilissima come adolescente). Trasformato in un film da 90 minuti, girato in un formato 4:3 che qua ha un senso (ricorda i vecchi film ed è quello a cui i ragazzi sono più abituati sui social), la storia regge benissimo la tensione e giostrando tra i generi arriva ad una conclusione potente e logica e che ricorda film come Non aprite quella porta e Wolf Creek. Rimanda anche ad un classico spagnolo come Ma come si può uccidere un bambino?, o il britannico The Wicker Man l’ambientazione rurale e isolata dove l’orrore avviene in pieno giorno. Colpisce sicuramente questo esordio al femminile (Pereda lavora con una direttrice della fotografia) che forse pecca un po’ di generosità, mettendo in gioco tematiche, stili e situazioni un po’ eccessive nello spazio delle 24 ore in cui si svolge la vicenda. Nonostante alcune ingenuità da prima volta, Piggy comunque un film di forte impatto, da vedere e da tenere a mente, come la regista e la protagonista, e che dimostra la vitalità di un cinema spagnolo che sa osare e raccontare storie diverse e parlare di problemi attuali, anche all’interno del genere.
- Saggista traduttrice e critico cinematografico
- Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità