Philomena - la recensione del film di Stephen Frears
Con quella scrittura, con quelle interpretazioni e con quell'equilibrio di regia che guarda direttamente a un cinema che tutti si lamentano non esistere più, Philomena è un film che avrebbe potuto raccontarti qualsiasi vicenda, e tu te la saresti bevuta con la stessa placida arrendevolezza.
Con quella scrittura, con quelle interpretazioni e con quell’equilibrio di regia che guarda direttamente a un cinema che tutti si lamentano non esistere più, Philomena è un film che avrebbe potuto raccontarti qualsiasi vicenda, e tu te la saresti bevuta con la stessa placida arrendevolezza.
Eppure la storia vera di una madre che cerca un figlio strappatogli dalle suore del convento dove viveva, aiutata da un ex giornalista della BBC ed ex spin doctor del governo Blair, in tutto il suo potenziale melenso e retorico, è al tempo stesso l’unica storia possibile per il risultato ottenuto da un film che è tanto di Stephen Frears quanto di Steve Coogan, non solo protagonista ma anche sceneggiatore e produttore.
Perfettamente in bilico tra dramma che ti strappa le lacrime senza essere strappalacrime, e commedia esilarante dotata di battute e tempi impeccabili, Philomena procede sicuro e con uno sprezzo del pericolo understated come le interpretazioni di Coogan e di Dame Judi Dench, incurante delle paludi rischiose in cui poteva rischiare di cadere. E, anzi, centra l’obiettivo sia quando si concede stoccate secche e maliziose di british wit, sia quando tratta con serietà, ma senza pedanterie o eccessivi moralismi i lati più drammatici della vicenda di Philomena Lee.
La coerenza, l’attenzione ai dettagli, il timing e la capacità di fermarsi prima di ogni esagerazione sembrano essere stati mutuati in parte anche da quell’ideale di giornalismo anglosassone che, tangenzialmente, viene raccontato nel film attraverso il personaggio di Coogan, e dall’atteggiamento di quello della Dench.
In un film che poteva diventare un giustificatissimo quanto urlato e banale atto d’accusa contro determinate istituzioni della Chiesa Cattolica, e della sua stessa dottrina, Frears e Coogan non si risparmiano di certo affondi memorabili, sarcastici o serissimi che siano, ma la loro condanna è tanto più efficace quanto più e capace di fermarsi alla documentazione dei fatti e di non diventare pamphlet infiammato e militante.
Perché la storia di Philomena e di questo film omonimo prima di tutto quella di una madre e di un figlio che (non) s’incontrano troppo tardi, e quello di un uomo e di una donna diversi per classe e per cultura che s’incontrano in tempo per rilanciare il loro futuro; quella della necessità di rendere nota la verità senza per questo cercare vendetta.
Perché il senso della carità cristiana sta anche nella dignità composta e commovente con la quale Judi Dench incarna la sofferenza di una donna che non vuole cedere alla rabbia e che sa che non si può fare più niente.
Perché il senso del pensiero laico che sacrosantamente s’indigna e condanna la menzogna e l’ipocrisia sta anche nella capacità di Frears e Coogan di ritrarre un uomo capace di farsi sorgere dubbi, di mantenere il controllo, di manifestare il suo dissenso senza per questo diventare ciecamente e beceramente ideologico.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival