Peppermint: recensione del revenge movie con Jennifer Garner diretto da Pierre Morel

21 marzo 2019
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Perché non possono essere anche le donne a regalarci un film di vendetta personale?

Peppermint: recensione del revenge movie con Jennifer Garner diretto da Pierre Morel

È inevitabile porsi una domanda, vedendo Peppermint. In questi anni drammatici e delicati nelle relazioni fra noi abitanti di questo sempre più fragile pianeta, c’è proprio così bisogno di nuovi revenge movie? Quei film basati meramente sul concetto di vendetta privata, in cui una famiglia innocente viene sterminata senza motivo da un cattivo di una perfidia senza compromessi, tanto che l’unico sopravvissuto si improvvisa sterminatore e non si placa fino a vendetta ultimata? La nostra risposta è no, pur non amando dare giudizi morali su un film; specie se una distorsione del concetto di parità fra i sessi porta in questo caso a scegliere una donna per compiere queste stragi da legge del taglione. Come dire, invece di mollare col genere rilanciamo, rispondiamo a Captain Marvel con L'Angelo della Vendetta.

Jennifer Garner sparisce per cinque anni dopo l’uccisione di marito e figlia da parte di un cartello della droga e l’assoluzione dei killer per corruzioni miste di giudici e procuratori. Anni in cui diventa una macchina da guerra, dopo essere stata una pacifica impiegata di banca di Los Angeles alle prese con la difficoltà a rendere stabile la sua condizione economica, insieme all’ormai defunto marito meccanico. Quando torna è la perfetta ‘vigilante’, come dicono gli americani definendo chi si fa giustizia spicciola da sé. Non solo, cappuccio in resta, si prende delle brevi pause dalla lista degli omicidi compiendo piccoli sforzi quotidiani per far trionfare i vessati contro i prepotenti. Una breve scazzottata qui, un colpo di pistola là, ed eccola diventata quasi una supereroina che riesce addirittura a cancellare i crimini in un pessimo quartiere di Los Angeles, almeno entro qualche decina di metri intorno al furgoncino sgangherato in cui vive.

L’angelo della vendetta, così viene raffigurata nei graffiti di qualche street artist, con tanto di ali. Non ha più nulla da perdere e si trasforma in una macchina da guerra, come noi spettatori la vediamo nello spazio di pochi istanti dopo la sua fuga dall’aula di tribunale in cui gli assassini della sua famiglia sono assolti in maniera assurda. In gran forma fisica e credibile come insospettabile picchiatrice c'è Jennifer Garner, che si vede solo di rado ultimamente al cinema e ha pensato bene di mostrare come si mantiene in grande forma a 46 anni.
A dirigere Peppermint uno degli specialisti di questo genere molto americano, il francese Pierre Morel, scuderia Besson, regista del primo Taken, da noi uscito come Io vi troverò, con Liam Neeson nei panni del vendicatore.

Non esistono sfumature, nel film, come potete immaginare, così come differenze o rielaborazioni rispetto al consueto canovaccio. Se vi piace il genere, accomodatevi, troverete il bene contro il male assoluto, un percorso di vendetta scritto come la lista della spesa, fino ad arrivare al mandante boss e al suo fortino che sembrava così ben difeso da essere al sicuro. Qui si palesano degli agenti esterni a disturbare la dinamica vendicatrice e futura vittima, sottoforma di polizia e media, ottenendo a quel punto il solo effetto di rallentare il ritmo del film.
Le coreografie sono ben costruite, anche se montate con concitata frenesia, mentre i decibel schizzano durante le tante sparatorie, con armi di ogni genere.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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