Patria - la recensione del film di Felice Farina tratto dal libro di Enrico Deaglio
Un Bignamino degli ultimi 30 anni di storia italiana che alle contrapposizioni destra-sinistra sostituisce quelle alto-basso.
Vuoi per la durata ridotta, vuoi per le necessarie (e non necessarie) semplificazioni dovute al passaggio dalla pagina scritta all'immagine filmata, Patria è un film-Bignami. Un piccolo oggetto costruito a uso e consumo delle nuove generazioni (il che, a ben pensarci, stona col concetto stesso di Bignami, sebbene declinato per immagini) per ripercorrere nella maniera più agile e concentrata possibile la storia italiana degli ultimi 30-40 anni.
E se questo, da alcuni punti di vista, rappresenta il pregio massimo del lavoro di Felice Farina, da altri ne rappresenta il limite più ingenuo e ingombrante.
La storia di finzione che Farina ha innestato sulle suggestioni storiche del libro di Enrico Deaglio che del film è stato il punto di partenza, sono poco più che pretestuose. I tre protagonisti sono tre figurine stereotipate e monodimensionali, plausibili e banali allo stesso tempo, la cui unica funzione è quella di citare un po' forzatamente gli eventi che s'insinuano nel film sotto forma d'immagini di repertorio, e di fungere da sommario di quella storia bignamesca che Patria rappresenta.
Va certamente riconosciuto il lavoro notevole svolto da Esmeralda Calabria, montatrice, che accavalla le immagini con intenti evocativi e riesce a toccare le corde emotive dello spettatore, ma è il semplice susseguirsi degli eventi e il suo lineare incrociarsi con la cornice fiction a penalizzare questo risultato.
Con il suo pedagogismo elementare, Patria ricorda e passa in rassegna, senza dubbio, ma omette fette di storia e punti di vista magari "di minoranza" ma non minori, si lascia catturare dal buco nero dell'ossessione (legittima ma non necessariamente costruttiva) per il demone Silvio Berlusconi e, soprattutto, rinuncia - come ogni Bignami che si rispetti - a qualsiasi tentativo di critica, d'interpretazione, di rapporto dialogico con quello che viene raccontato e col presente.
Non sorprende, allora, che la conclusione di Patria sia quella che conduce verso un cauto e utopico ottimismo di stampo umanista, che di politico e storico ha ben poco e che, quel poco, sia nel segno del rifiuto delle contrapposizioni fino a quel momento raccontate.
E il senso del film, con una mossa che si piazza a metà via tra il populismo grillino e le rivendicazioni arrembanti e anti-casta del Fatto Quotidiano, si ritrova tutto nella torre verticale in cima alla quale i tre protagonisti del film si ritrovano per protesta, per solidarietà o per solitudine.
Perché l'unica contrapposizione vera oggi, secondo Patria e Felice Farina, non è quella tra destra e sinistra, ma tra alto e basso: tra chi il potere lo ha e chi lo subisce, tra il popolo e una classe dirigente che, in un modo o in un altro, lo tradisce e lo mortifica da svariati decenni.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival