Nuevo orden: la recensione del dramma dispotico sul Messico diretto da Michel Franco e presentato a Venezia 77

10 settembre 2020
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Una ribellione popolare contro il denaro dei privilegiati e le istituzioni sconvolge il Messico del distopico, ma non troppo?, dramma Nuevo orden di Michel Franco, presentato in concorso al Festival di Venezia 2020.

Nuevo orden: la recensione del dramma dispotico sul Messico diretto da Michel Franco e presentato a Venezia 77

Il cinema degli ultimi anni ci ha abituato a film distopici in abbondanza, spesso connotati  da una patina di romanticismo per young adult o da elementi di fantascienza che offrono un’identificazione allo spettatore mediata, metaforica più che diretta. Ci sono poi lavori ambientati in realtà molto realistiche, che sanno di monito immediato, come lo splendido I figli degli uomini del messicano Alfonso Cuaron e, ora, il durissimo Nuevo orden del suo connazionale Michel Franco. Un pugno nello stomaco, uno scenario infernale presentato senza cedimenti, un teorema decadente che non lascia scampo allo spettatore: metabolizzarlo o rigettarlo come un trapianto fallito.

Il mondo che propone è quello di un Messico tale e quale a oggi. Siamo nella capitale Città del Messico, all’interno delle sfarzose ville, moderne e circondate da mura altissime dei privilegiati rinchiusi in uno zoo. È in corso un matrimonio all’interno del mondo dell’alta società messicana. Padrone di casa un imprenditore, tra gli ospiti vari potenti fra cui un politico di alto livello. La sposa è giovane, così come il futuro marito. Fuori dalla casa le berline della sicurezza degli ospiti presenti, mentre la città è in preda a saccheggi, crescenti per violenza e numero, da parte di rivoltosi facenti parte della popolazione meno abbiente. Si scagliano con rabbia contro i simboli del privilegio e del potere, puntano al denaro e alle merci dal valore aggiunto, simboli della differenza sociale sempre più decisa in Messico (e certamente non solo) fra l’apice e la base della piramide.

Dopo il rosso, il giallo o l’arancione qui viene utilizzato come colore di lotta il verde nazionale, sparato sotto forma di vernice in grandi quantità, prima di passare alle armi da fuoco. È il veicolo della loro vendetta, che nasce come superamento della soglia di tolleranza dei soprusi a cui ogni giorno devono sottostare contro chi detiene la ricchezza, i bianchi che rappresentano il privilegio e riducono gli amerindi a ruoli subalterni se non da lavoratori domestici.

La tensione sale, mentre i minuti passano fra ospiti, chiacchiere e festeggiamenti. Un conflitto sociale che per una volta non si ferma al limite dei quartieri bene, recintati e ben armati, esplodendo in un violento colpo di stato, con tanto di coprifuoco e l’irruzione nella stessa casa degli invasori pronti a scatenare la loro rabbia accumulata da troppo tempo. È la giovane sposa, a suo modo simpatizzante, che ci conduce nei meandri oscuri della metropoli in preda al delirio, insieme alla famiglia di domestici che sono in sospeso fra servire e rivoltarsi. Le divise non fanno che replicare la ferita sociale, alimentando le differenze etniche. Un nuovo ordine dovrà emergere da lunghi giorni e ancora più angoscianti notti che mettono in crisi le sperequazioni di un sistema di governo fallimentare.

Quello di Michel Franco è un grido d’allarme indirizzato al proprio paese, che teorizza come la visione distopica sia solo appena distante dalla realtà, e sempre meno ogni settimana che passa. Una situazione socioeconomica così diseguale da mettere sempre più in dubbio la tenuta di una oligarchia in mano a pochi, chiusi nel proprio privilegio. Una situazione che si è ripetuta varie volte nella storia del Messico, provocando cambi di regime che hanno aumentato ancora la violenza con cui sono state sedate le rivolte. 

Un film doloroso, senza compromessi, attraversato da una violenza spontanea e naturale che non cede alla spettacolarizzazione, ma rappresenta l’ennesimo favore degli ultimi verso altri aristocratici pronti ad approfittare della situazione, a ogni costo. Non c’è speranza, né la visione della rivoluzione come progresso, ma solo come giustificazione per reprimere ancora più duramente allo scopo di approfittare del tempo e della voglia della maggioranza silenziosa di tornare alla normalità, alla quiete. Una quiete apparente che ha solo cambiato divisa, senza affrontare alla radice il problema sociale ed economico. Una potentissima scarica di energia che lascia impietriti di fronte a dinamiche che si ripetono da sempre, a ogni latitudine, senza che la storia venga ascoltata come insegnante e maestra del futuro.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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